giovedì 28 agosto 2014

Parte Terza Cap. 5

 Questa per ora è l'inizio della parte terza del libro " L'Uomo della Fondazione", purtroppo fermo da diversi anni fa. E' l'ultima parte che scrissi impaginandola.

                                                    Parte terza

                                           

TRANTOR   Anno 0001 EF.


                                                    5


“ Impossibile! “  Fu la mia risposta -
Disse Jeffrey, ricordando e raccontando, per l’ennesima volta l’inaspettata visita ricevuta mesi addietro.
“E lui inizialmente come la prese? “
Incalzò Dorothy, la sua compagna di sempre.
“ Come la prese? “…
“ Come solo un grand’uomo sa fare, perché devi sapere …., ma questo già lo sai! Chissà quante altre volte ti ho annoiato con questo racconto “.
“ Oh, no, Jeffrey caro, lo sai che non mi stancherei mai di ascoltarti, specie da quando rivedo nei tuoi occhi quella luce di entusiasmo giovanile che mi fece perdutamente innamorare. Eppoi alla nostra età bisogna rinnovare continuamente i tanti ricordi per conservarli sempre vivi nella memoria “.
-Era il gior… una mattina di cinque mesi fa, quando sentii bussare a mani nude alla nostra porta d’ingresso. Mi ci vollero diversi secondi per capire ed individuare la fonte di quei battiti ritmati; e solo dopo averne sentito una seconda mandata, a conferma di quanto avevo interpretato, mi recai alla porta, azionai il dispositivo di visione, almeno quello funzionava ancora, e dall’avvenuta trasparenza interna apparve un vecchio.
-Un vecchio? –ripeté con stupore Dorothy.
-Si, un uomo anziano quanto me – si corresse precisando.
Ben vestito, dall’aspetto stanco ma con occhi intensi, segno di una sapienza e lucidità non ancora perduta.
Azionai nuovamente il Visivision regolando questa volta a figura intera. Così lo vidi seduto su di una sedia a rotelle. Al suo fianco un giovane dall’aspetto rassicurante. Di colpo capii chi era l’inatteso e mattiniero ospite, e …
-Che perspicacia, capire di colpo. L’uomo più famoso di Trantor – disse con sarcasmo la donna.
-Beh, certo! Avrei voluto vederti al posto mio.
Ricevere una visita, e già questo è di per se un evento, alle 7,40 del mattino, orario alquanto insolito per una visita almeno di cortesia e fatta dal nostro beneamato ed indimenticabile Primo Ministro.
Roba da non credere – contraccambiò con tono di finto risentimento.
Allora aprii la porta e ….Ora dormi, cerca di riposare ancora un po’, che è tardi.-
E lei a malincuore si addormentò, non prima però di aver ricevuto la promessa per la ripresa del racconto, al punto esatto d’interruzione, per il giorno dopo.

Era più di un anno, ormai, che Dorothy Wyner, la sua prima ed unica compagna accettava con ineluttanza il lento ma inarrestabile progredire della malattia che la obbligava ad una semi infermità fisica. E, cosa ancora più grave, anche se sicuramente l’aiutava da accettare il suo stato, anzi a considerarlo un fattore temporaneo, era la perdita parziale ma costante della memoria.
Non riusciva, non più, a ripescare autonomamente i particolari, neanche dal più recente passato.
Era come se dopo aver letto un libro, ricordarsi unicamente di averlo fatto, del genere letterario e, forse, se facile, del titolo.
Allo stesso modo, Dorothy, ricordava di aver sposato in giovane età il suo Jeffrey, che era stata felice e lo era tuttora al suo fianco.
Mentre gli avvenimenti, i particolari della loro lunga unione, ricordi mai morti, si risvegliavano al suono dei racconti che il suo compagno con infinita pazienza e amore le dedicava.
Quotidianamente le raccontava di se stesso, del loro incontro e dell’amore che li univa.
Le descriveva i sogni; le ambizioni; il loro progetti; le gioie e le amarezze; i giorni felici; le passate angosce e le attese vane, senza omissioni ne false ricostruzioni.
I perduti ricordi riemergevano vivi, dolci nella memoria.
Mentre nel cuore si rinnovava l’amore.
-Sono nato su Comporellen 71… quasi 72 anni fa – così Jeffrey Availor raccontava – e venni su Trantor, non ancora ventiduenne con in tasca una laurea in Ingegneria Termodinamica e Nucleare unicamente per la preparazione alla specializzazione in Tecnica-Automatismi-Termodinamici.
Nella settimana successiva al conseguimento si verificarono due eventi del tutto imprevedibili: conobbi te e mi innamorai perdutamente e ricevetti la proposta di assunzione da parte della M.I.D.A. (Mecchanical Industries Dinamic Automatic).
Due eventi dissimili ma complementari che mi convinsero a restare su Trantor.

lunedì 18 agosto 2014

ARTURO MALIGNANI e il Vuoto Industriale

Il nome di Arturo Malignani si lega in parte a quello di Alessandro Cruto e all’avventura della lampadina a incandescenza italiana.

Arturo Malignani fu il padre di un ritrovato impiegato per lunghi anni in molte fabbriche sparse in tutto il mondo. Tutto nacque dalla seconda esigenza fondamentale nella fabbricazione della lampadina (la prima era quella del filamento), ovvero quella di poter facilmente ottenere il vuoto nell’ampolla di vetro.


All’inizio dell’industria delle lampadine, la soluzione del
problema era ottenuta dall’impiego della così detta pompa Sprenghel, apparecchio fino allora usato solo nei laboratori. 
Il suo principio era basato sull’impiego di un tubo barometrico, lungo un metro e del diametro approssimativo di tre millimetri, in cui veniva iniettato uno spruzzo di mercurio che, sminuzzandosi in tante minutissime goccioline, discendeva rapidamente ed aspirava l’aria contenuta nel palloncino.

Un sistema decisamente poco pratico che, all’inizio della sua applicazione, necessitava di una pompa per ogni lampadina. L’operazione inoltre richiedeva alcune ore e le esalazioni del mercurio rendevano pericolosissima questa industria per gli operai che vi erano adibiti.

Finché l’illuminazione elettrica fu ai suoi inizi e il consumo delle lampadine limitato, questi inconvenienti, pur gravi, furono sopportabili, ma, in seguito, quando la richiesta delle lampadine crebbe vertiginosamente, con il diffondersi del nuovo sistema in tutto il mondo, la produzione del vuoto, affidata a congegni così delicati e lenti si trasformò in vera calamità. 
Questo stato di cose durò fino al 1895, in cui venne reso noto il sistema Malignani.
Nato ad Udine nel 1865, Arturo Malignani iniziò a lavorare nella sua città facendo il fotografo , ma di pari passo si appassionò a svariati problemi di chimica, fisica e meccanica. Per suo merito, Udine fu una delle prime città d’Europa a conoscere l’illuminazione elettrica. 

A soli 23 anni, nel 1888, aiutato da alcuni investitori locali, installò una prima centrale termoelettrica con la relativa distribuzione per l’illuminazione, aggiungendovi un laboratorio per la produzione delle lampadine elettriche necessarie all’azienda. Da allora dedicò tutti i suoi studi al perfezionamento di quest’ultime, specialmente ad ottenere l’aumento della durata.
Si convinse che la lunghissima durata dello svuotamento delle ampolle non fosse tanto dovuta all’eliminazione dell’aria, quanto alla necessità di espellere i gas prodotti durante l’operazione dall’accensione del filamento. Senza l’eliminazione di questi gas, che producevano attorno al filamento un’aureola azzurrognola, il vuoto non tardava a diventare insufficiente, determinando una rapida diminuzione di luce e, dopo breve durata, la rottura del filamento.
Malignani, dopo infinite prove, trovò che lanciando nelle ampolle dei vapori di fosforo, questi si combinavano con il gas blu dando luogo ad un precipitato il quale lasciava un vuoto perfetto e permanente. 

Trovato il modo di perfezionare il vuoto con l’intervento chimico, il geniale friuliano pensò pure di creare un tipo di pompa che funzionasse più rapidamente di quella a mercurio e permettesse lo svuotamento contemporaneo di un gran numero di lampadine.
Il primo successo lo ottenne con una pompa ad olio, il cui cilindro era lungo ben quattro metri, ed era manovrata da due uomini che camminavano avanti ed indietro. Non era ancora un metodo pratico e, subito dopo, Malignani costruì una pompa azionata meccanicamente composta di diversi grossi cilindri posti in serie di cui il primo faceva il vuoto nel secondo, il secondo nel terzo e così via.

Con questo sistema, completato dal metodo chimico, bastava un tavolino largo quanto un’ordinaria scrivania per ottenere una produzione sufficiente all’impiego in un salone di molte centinaia di metri quadrati. L’abolizione dell’uso del mercurio toglieva ogni pericolo per la salute degli operai. Queste radicali innovazioni funzionarono a Udine per alcuni anni, senza che Malignani pensasse a brevettarle. Avendo creato tutto da sé, senza ricorrere ad insegnamenti altrui, era persuaso che altrove si facesse altrettanto, se non di meglio.

Nel 1892 un tecnico tedesco di passaggio casualmente ad Udine gli dimostrò e lo convinse del contrario, spingendolo a brevettare le sue trovate ed a farle conoscere.


Il successo fu immediato. All’inventore friulano piovvero richieste da tutte le parti del mondo. Lo stesso Edison mandò a Udine alcuni tecnici per verificare i risultati ottenuti e in seguito alle prove lo chiamò a New York, per stabilire un contratto di cessione dei brevetti. Malignani partì per gli Stati Uniti portando un modello di pompa perfezionato, con cui si poteva produrre il vuoto in meno di un minuto per lampadina.

sabato 2 agosto 2014

WILHELM REICH e L'Energia Orgonica

Nel corso della storia sono stati molti gli uomini che con le loro scoperte, le loro idee e la loro saggezza avrebbero potuto trasformare questo mondo in un posto meraviglioso, abbondante di tutto ciò che è necessario a ogni essere per vivere libero, sereno e felice.

Questi uomini sono stati ridicolizzati, diffamati, isolati e talvolta uccisi dall’autorità di turno per mantenere la società nello status quo imperante.

Tra i tanti nomi è doveroso menzionare il Dr. Wilhelm Reich (Dobrzcynica 24 Marzo 1897) che effettuò una delle scoperte più sensazionali del secolo insabbiate a livello politico: l’Energia Orgonica.

Reich dopo aver servito l’esercito austriaco sul fronte italiano, iniziò a frequentare l’Università di Vienna e prese la laurea in medicina nel 1922. Mentre studiava per il suo dottorato, Reich divenne il pupillo del Dr. Sigmund Freud, dove egli stesso divenne un pioniere della psicoanalisi.

In questi anni si concentrò insieme a Freud nel curare i pazienti affitti da diversi tipi di nevrosi. Reich era d’accordo con la teoria di Freud secondo cui la nevrosi e alcune disfunzioni all’interno del corpo erano causate da blocchi che non permettevano agli istinti sessuali di esprimersi liberamente.

In seguito però, dati i numerosi insuccessi che si susseguivano, egli prese le distanze da Freud per quanto riguarda la terapia che quest’ultimo utilizzava per curare quei malori. Tale terapia consisteva nel sublimare la sessualità del paziente, togliendoli dall’inconscio le pulsioni sessuali e portarlo a rinunciare in modo consapevole alle passioni stesse.