martedì 29 settembre 2015

TROVATA LA CURA PER IL CANCRO IN CANADA

In Canada si trova la cura per il cancro,
ma le case farmaceutiche la ignorano.

I ricercatori dell’Università di Alberta, a Edmonton, in Canada hanno trovato la cura per il cancro, ma se ne parla pochissimo nei notiziari ed alla Tv.

E’ una tecnica semplice, si utilizza un farmaco molto semplice.

Il metodo impiega dicloroacetato, un farmaco molto conosciuto che è attualmente usato per trattare i disordini metabolici. Quindi, non vi è alcuna preoccupazione per gli effetti collaterali o gli effetti a lungo termine.

Questo farmaco non richiede un brevetto, per cui chiunque lo può utilizzare ampiamente ed è molto economico rispetto ai costosissimi farmaci antitumorali prodotti da grandi aziende farmaceutiche. Gli scienziati canadesi hanno testato questo dicloroacetato (DCA) sulle cellule dell’uomo, ed ha ucciso le cellule del cancro dal polmone, mammella e cervello ed ha lasciato intatte quelle sane.

E’ stato testato su topi con tumori gravi che si sono ridotti quando sono stati alimentati con acqua integrata con DCA. Il farmaco è ampiamente disponibile e la tecnica è facile da usare.

Perché le case farmaceutiche più importanti non sono coinvolte?                       O i media non ne sono interessati?

Nel corpo umano c’è un elemento naturale che lotta contro il cancro: i mitoconrdi, ma hanno bisogno di essere “spinti” per essere abbastanza efficaci ( i mitocondri sono organi contenuti in ogni cellula umana, con una struttura simile a quella dei batteri, e con un proprio DNA mitocondriale; la funzione principale del mitocondrio è quella di produrre energia).

Gli scienziati hanno sempre pensato che i mitocondri venissero danneggiati dal cancro e quindi hanno pensato di concentrarsi sulla glicolisi che è meno efficace e più dispendiosa. I produttori di farmaci si sono concentrati solo su questo metodo della glicolisi per combattere il cancro. Questo DCA invece non si basa sulla glicolisi ma sui mitocondri, “innesca” i mitocondri che combattono le cellule tumorali.

L’effetto collaterale di questo è che viene anche riattivato un processo chiamato apoptosi. I mitocondri contengono un fin troppo importante “pulsante di autodistruzione” che viene a mancare nelle cellule tumorali. Senza di esso, i tumori diventano più grandi e le cellule rifiutano di estinguersi. I mitocondri pienamente funzionanti, grazie al DCA invece possono finalmente morire.

Le aziende farmaceutiche non investono in questa ricerca perché il metodo DCA non può essere brevettato, senza un brevetto non possono guadagnarci nulla, con la chemioterapia classica invece fanno migliaia di miliardi di euro di profitto.

Dal momento che le case farmaceutiche non se ne interesseranno, altri laboratori indipendenti dovrebbero iniziare a produrre questo farmaco e fare ulteriori ricerche per confermare le conclusioni di cui sopra e produrre i farmaci.


Le cellule normali (blu) nel bel mezzo della crescita benigna sono affamate di ossigeno, ma possono sopravvivere con la glicosi, un modo diverso di fare energia. Nel processo i mitocondri, che contengono il meccanismo di autodistruzione cellulare, si spengono. Queste rende le cellule “immortali” e cangerogene (rosso), così esse continuano a replicarsi e il tumore cresce.

La Glicosi genera anche l’acido lattico che permette al cancro di mangiare cellule attraverso il tessuto, e formare tumori secondari in altre parti del corpo. 

Un farmaco chiamato dicloacetato rimette in funzione i mitocondri nelle cellule tumorali (blu) in modo che esse fermino la glicolisi e inizino a produrre energia di nuovo dai mitocondri. Il meccanismo di autodistruzione è quindi attivato, e le cellule avvizziscono e muoiono (marrone).

martedì 22 settembre 2015

INVENTATA L’ACQUA IN POLVERE

Si chiama Solid Rain, arriva dal Messico ed è acqua in polvere anche se a prima vista assomiglia allo zucchero.

L’idea dell’ingegnere chimico Sergio Rico è un rimedio contro la siccità che potrebbe rivoluzionare la vita dei contadini di tutto il mondo.

Ci sono aree del mondo in cui il cibo scarseggia, la popolazione soffre per fame e l’economia agricola è spesso bloccata. Colpa delle rare piogge, dei periodi di clima troppo secco, dei terreni aridi. Ma alla carestia può esserci un rimedio, è questa l’idea dell’ingegnere chimico Sergio Rico, inventore del rivoluzionario prodotto Solid Rain per migliorare la siccità  delle campagne messicane.

E’ una polvere che assomiglia allo zucchero. Non è dannosa per l’ambiente, minimizza i tempi di lavoro, incrementa la resa, fa risparmiare tempo e …acqua. Si acquista per 25 dollari a libbra e permette la crescita delle piante anche in assenza di pioggia, trasformando la vita degli agricoltori, ma non solo.

Ispiratosi ai pannolini per neonati, che assorbono grandi quantità di liquido in uno spazio limitato, la mente ingegneristica di Sergio Rico ha sviluppato un polimero assorbente a base di potassio che assorbe acqua fino a 500 volte la sua quantità originale.

Soltanto 10 grammi di prodotto assorbono un litro d’acqua e si trasformano in un gel denso e trasparente da utilizzare nella coltivazione.

Una volta mischiato il terreno, pensate al materiale come a una riserva d’acqua disponibile per circa un anno.

Le ricerche mostrano come si risparmino costi in termini di tempo, dedicato alla cura di un campo e in termini di quantità d’acqua per l’irrigazione. Verrà meno infatti la perdita di acqua per evaporazione o per infiltrazione, così come la dispersione di sostanze nutritive del terreno che spesso scivolano via con l’irrigazione.

Implementato per circa un decennio in uno studio del governo messicano nella regione semi arida dell’Hidalgo, soggetta a periodi di siccità, Solid Rain ha già dato grandi risultati.

I campi coltivati utilizzando il prodotto mostrano una resa del raccolto altissima: 3000 kg di fagioli per ettaro, invece dei 450 kg con innaffiamento tradizionale.

Premiato dal Stockholm International Water Institute e dalla Fondazione Miguel Aleman ricevendo premi per l’ecologia, Solid Rain è arrivato anche negli Stati Uniti, dove ormai è un prodotto popolare nella cura dei campi da golf e degli apprezzamenti di terreno con molto prato.

Dire che Solid Rain diventi la nuova frontiera dello sviluppo rurale è ancora azzardato, ma i risultati finora ottenuti sono tangibili. Siccità, desertificazione e terreno poco fertile sono solo alcune piaghe di molte aree rurali del sud del mondo con scarso accesso alle nuove tecnologie.


L’esperienza tra le coltivazioni messicane può rappresentare un esempio di innovazione “verde” che pensa anche alle nuove generazioni risparmiando sul consumo di acqua, minimizzando i tempi di lavoro e garantendo maggiore autonomia economica ai coltivatori.

martedì 15 settembre 2015

EBOLA: la genesi di una paura infondata

Il virus Ebola è diventato rapidamente protagonista delle cronache, giornali e tg dedicano ampio spazio alla cronaca della sua espansione, alla conta dei morti e, soprattutto, ad approfondire quella che è la paura principale di ascoltatori e lettori: la possibilità che questo virus, finora circoscritto quasi esclusivamente in Guinea, Sierra Leone e Liberia, possa arrivare in Europa e contagiarci.

Ad alimentare la paura, oltre alla virulenza di Ebola e la sua alta mortalità, soprattutto il fatto che si tratti di un virus del quale si sa ancora molto poco e contro il quale non esistono al momento vaccini o cure che abbiano concluso la fase di sperimentazione e quindi utilizzabili su grande scala.

UN VIRUS CHE GLI ESPERTI DEFINISCONO “STUPIDO”.

Ma è una paura fondata? Secondo la semi-totalità degli esperti non lo è nella maniera più assoluta.

Ad esempio Peter Piot, direttore della London School of Hygiene and Tropical Medicine, nonché una delle due persone che ha scoperto il virus nel 1975 ha affermato: “Non mi preoccuperei di essere seduto a fianco di un malato di Ebola in metropolitana a meno che non mi vomiti addosso. Si tratta di una malattia che richiede un contatto molto ravvicinato con i fluidi corporei”.

Mentre Fabrizio Pregliasco, virologo del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute all’Università di Milano, ha definito senza mezzi termini Ebola come “un virus stupido”, in quanto “uccide troppo e troppo velocemente e quindi non riesce ad evolversi”.

Infatti l’alta mortalità del virus (quasi il 90% dei contagiati non sopravvive) e il suo decorso velocissimo (il contagiato manifesta quasi immediatamente i sintomi e in massimo 20 giorni sopraggiunge il decesso), sono allo stesso tempo il motivo per cui questo virus ci spaventa così tanto.

Ma anche la ragione per cui è difficilissimo un suo sviluppo su scala mondiale, nel senso che un malato è quasi subito non solo identificabile, ma anche troppo provato per trasmettere la malattia, la quale ha una modalità di trasmissione piuttosto complicata possibile solo attraverso uno scambio di fluidi corporei.

OGNI GIORNO LA TBC FA IL NUMERO DI MORTI CHE EBOLA HA FATTO IN 38 ANNI. Questo ovviamente non significa voler smentire che Ebola sia un allarme reale per i paesi africani coinvolti o che in questa sua nuova ondata abbia avuto una diffusione senza precedenti.

Sono entrambe affermazioni vere.
Ma passando alla fredda ma efficace rassegna statistica apprendiamo che fino ad oggi l’ultima epidemia di Ebola ha provocato poco meno di 3.000 morti secondo i dati dell’Oms, mentre in tutta la sua storia, cominciata nel 1976 quando venne segnalato il primo caso, e segnata da 24 cicli epidemici, i morti totali sono poco meno di cinquemila.

Una media di 130 morti all’anno per 38 anni. Di epatite muoiono oltre un milione di persone ogni anno (600mila per la sola variante B), di influenza circa 500.000, di Papilloma Virus 275.000 e di Rabbia oltre 55.000.

Altri virus insomma dovrebbero destare ben più paura, tra questi soprattutto la Tubercolosi, malattia di sapore ottocentesco che si credeva ampiamente sconfitta e che invece è tornata più letale che mai in una nuova variante (TB-MDR) che resiste a tutte le cure esistenti e nel solo 2012 secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha colpito 8,6 milioni di persone, provocando 1,3 milioni di morti.

E, tra parentesi, da anni è tornata a mietere vittime anche in Usa ed Europa.

AVETE PRESENTE IL FILM OUTBREAK CON DUSTIN HOFFMAN?
Torniamo quindi alla questione iniziale: per quale ragione Ebola fa così paura? Beh, vi ricordate del libro The Hot Zone di Richard Preston? E del film Outbreak (Virus Letale) di Wolfgang Petersen?

Secondo lo scrittore David Quammen il tutto inizia esattamente da queste due opere. The Hot Zone, pubblicato nel 1994, è stato un autentico best-seller della letteratura )para-scientifica americana.

Racconta di un incidente batteriologico in un laboratorio di Washington e mette in guardia il pubblico dalla probabilità che Ebola possa abbattersi su tutto il mondo, condendo il tutto con dettagli splatter ed inventati sugli effetti del virus sugli umani, cose tipo corpi di malati che diventano una poltiglia informe di carne e sangue.

Nel 1995 esce invece in tutto il mondo, distribuito dal colosso Warner Bros, il film Outbreak (Virus Letale) con Dustin Hoffman. Il film è sostanzialmente la solita americanata trita e ritrita dove il buono di turno combatte per salvare il pianeta dal disastro imminente.

Solo che nella sceneggiatura di Petersen il male ha le vesti di una versione modificata del virus Ebola che minaccia l’America non solo per la sua viralità, ma anche per il potenziale utilizzo come arma di bio-terrorismo.

DALLA CULTURA DI MASSA ALLA PAURA DI MASSA.

Dal successo della fiction alla trasposizione sulla realtà delle paranoie apprese da essa il passo può essere molto breve. Tanto più se l’opera proviene dalla multinazionale produttrice di cultura di massa per eccellenza: Hollywood.

Non è un caso che negli Usa si segnalino in questi giorni veri e propri casi di psicosi di massa sul virus Ebola, tanto che la decisione delle autorità di rimpatriare un medico che aveva contratto il virus in Africa per prestargli cure ad Atlanta, ha portato ad una ondata di proteste di cittadini spaventati, mentre i media facevano ore di diretta sulla questione e politici in cerca di facili dosi di visibilità mediatica rilanciavano l’allarme su Twitter.

Dalle TV americane a quelle europee il passo è breve, ed eccovi servito l’allarme dell’estate 2014. Il tutto mentre, facendo un rapido calcolo, nel solo tempo che il sottoscritto ha impiegato per scrivere quest’articolo, almeno 1.400 persone si sono ammalate di Tubercolosi ed altre 190 sono morte.

domenica 6 settembre 2015

INVENTATA LA BOTTIGLIA CHE SI PUO’ MANGIARE

Una bottiglietta rivoluzionaria, che non inquina, ecologica e per giunta si può anche mangiare.


Un materiale ecologico, rispettoso dell’ambiente, che non inquina e in più si può mangiare; è una nuova bottiglia inventata da un gruppo di scienziati, utilizzando la tecnica innovativa, già in uso da molti chef, per la preparazione dei loro piatti. 

Fino ad oggi, la plastica è stato il materiale più usato come recipiente per molti prodotti alimentari, in particolare per contenere i liquidi (bibite, latte, acqua ecc…); però è uno dei materiali meno biodegradabili al mondo, quindi molto inquinante per l’ambiente, ed è per questo motivo che si sta facendo il possibile per riciclarlo o addirittura eliminarlo del tutto dal mercato.

Grazie alla tecnica della sferificazione, si è riusciti a creare un contenitore gelatinoso che, al suo interno, racchiude il liquido da bere. La sferificazione è un procedimento (già in uso da molto tempo in ambito gastronomico) grazie al quale gli chef possono trasformare sostanze commestibili in forma più o meno solida, per dare ai loro piatti un tocco artistico di gran classe.

Questa tecnica usata nella gastronomia molecolare, resa famosa dallo chef Ferran Adrià, permette di creare ravioli o caviale con una textura rigida all’esterno lasciando l’interno in forma liquida, dando una particolare sensazione al palato di chi degusta il piatto.

Questa trasformazione, da liquido a solido, usata anche per creare la nuova bottiglia commestibile chiamata Ooho, si ottiene miscelando un liquido con alginato e successivamente il prodotto viene immerso in un bagno calcico (acqua mescolata a calcio) e immediatamente trasferito in acqua neutra, per eliminare il calcio, e fermare il processo di sferificazione, rendendo così l’esterno del materiale più solido.

Grazie a questa scoperta innovativa, gli scienziati Rodrigo Garcia Gonzales, Pierre Paslier e Guillaume Couche, sono riusciti a realizzare la bottiglia commestibile che può contenere acqua, vincendo, per giunta, il prestigioso premio “Lexus Design Award 2014”, dando un nuovo imput alle case produttrici di materiale plastico.

Ooho, la bottiglia che si può mangiare, è un contenitore gelatinoso composto di due membrane: una interna che racchiude l’acqua e l’altra esterna che protegge sia la membrana interna che l’acqua da bere.

La membrana esterna, gelatinosa, composta di alghe brune e cloruro di calcio è resistente e protegge l’interno membranoso più sottile e l’acqua; come avviene nell’uovo, dove una membrana separa il tuorlo dall’albume.

La particolarità della bottiglia Ooho è dopo aver bevuto l’acqua, la si può anche mangiare, evitando così il problema di abbandonare nell’ambiente il contenitore vuoto, anche se ovviamente è biodegradabile e non inquinante.

Il piccolo problema di questa bottiglia commestibile è che il suo sapore non è ottimo, ma se si riesce ad ingerirla non provoca nessun danno collaterale nell’organismo. Presto questo materiale sostituirà la plastica, speriamo che oltre ad essere utile per l’ambiente, gli scienziati riescano a darle un buon sapore.