Nulla succede per caso, è stato tutto stabilito a priori: Ma chi è BlackRock?
Faccio scoppiare l’Italia con la crisi dello spread, la
costringo a svendere i gioielli di famiglia e quindi arrivo io, col portafogli
in mano, pronto a rilevare a prezzi stracciati interi settori vitali
dell’economia italiana, messa in ginocchio dalla manovra finanziaria.
Secondo “Limes”,
l’architetto supremo del complotto non è la Germania, ma il colossale fondo d’investimenti
statunitense BlackRock, azionista rilevante
della Deutsche
Bank che nel 2011, annunciando la vendita dei titoli di Stato italiani,
fece esplodere il divario tra Btp e Bund causando la “resa” di Berlusconi e
l’avvento di Monti, l’emissario del grande business straniero.
La rivista di Lucio
Caracciolo, riassume Maria Grazia Bruzzone su
“La Stampa”, ha messo a fuoco un po’ meglio
le dimensioni, gli interessi ed il vero potere del primo fondo d’investimenti
mondiale, fattosi sotto con l’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi, dopo che ormai
il Pil italiano era stato letteralmente raso al suolo dai tecnocrati nostrani,
in accordo con quelli di Bruxelles.
Il “Moloch della finanza globale” vanta la gestione di
30.000 portafogli, per un totale di 4.650 miliardi di dollari: non ha rivali al
mondo ed è una delle 4-5 “istituzioni” che ricorrono tra i maggiori azionisti
delle banche americane.
Tutto ha avuto inizio col neoliberismo promosso da Margaret Thatcher e Ronald
Reagan: deregulation e meno vincoli per le megabanche, autorizzate a
“giocare” con sempre nuovi prodotti finanziari come gli “hedge fund”, i fondi a rischio speculativi e le società
d’investimento spesso collegate alle banche, innanzitutto anglosassoni.
Il colpo di grazia porta la firma di Bill Clinton, che negli anni ’90 rende assoluta la
deregolamentazione della finanza, abolendo il Glass-Steagal Act, creato da
Roosevelt negli anni ’30 per limitare la speculazione alle sole banche d’affari
e tenere il credito commerciale al riparo dalla “roulette” finanziaria di Wall
Street che aveva causato la Grande Crisi del 1929.
Ad estendere al resto del mondo l’immediata
cancellazione dei vincoli di sicurezza provvide il Wto, egemonizzato dagli Usa,
su impulso delle megabanche, dell’allora segretario al Tesoro Larry Summers e del suo vice Tim Geithner, futuro ministro di Obama. Questo il
clima in cui cominciò l’ascesa di BlackRock,
autonoma dal 1992 e basta a New York, pronta ad inserirsi in banche ed aziende
acquistando azioni, obbligazioni, titoli pubblici e proprietà, per un totale di
oltre 4.500 miliardi, cioè pari al Pil della Francia sommato a quello della
Spagna.
BlackRock comincia anche a far
politica: entra nel capitale delle due maggiori agenzie di rating, “Standard &
Poor’s” (5,44%) e “Moody’s” (6,6%), ottenendo la possibilità di
influire sulla determinazione di titoli sovrani, azioni e obbligazioni private,
incidendo così su prezzo e valore delle attività acquistate o vendute.
Quindi opera anche nell’analisi del rischio, vendendo “soluzioni informatiche” per la gestione di dati economici e finanziari, ed elabora dati che incorporano anche pesanti elementi politici. Naturalmente sfrutta appieno la crisi del 2007: due anni dopo, lo stesso Geithner consulta proprio BlackRock per valutare gli asset tossici di Bear Stearns, Aig e Morgan Stanley.
Compiti che BlackRock
esegue, “agendo alla stregua di una sorta di Iri privato”. Nel 2009 fa anche un
colpo grosso, acquistando Barclays Investment Group, col suo carico immenso di
partecipazioni azionarie nelle principali multinazionali. Il colosso
finanziario americano informa e “manipola
i propri clienti, utilizzando tecniche e software non diversi da quelli
impiegati da Google (di cui ha il 5,8%) o dalla Nsa per sondare gli umori della
gente, scrive “Limes”.
Si serve della piattaforma Aladdin, con almeno 6.000
computer in 12 siti più o meno segreti, 4 dei quali di nuova concezione, ai
quali si rapportano 20.000 investitori sparsi per il mondo. Il suo centro studi
d’eccellenza, il “BlackRock Investment Institute”,
esamina le variabili politico-strategiche: il maxi-fondo è interessato al
profitto, ma anche alla stabilità, sicurezza e prosperità degli Stati Uniti.
Il fondatore e leader, Larry Fink, è considerato “IL PIU’ IMPORTANTE PERSONAGGIO DELLA FINANZA MONDIALE”, eppure resta “virtualmente
uno sconosciuto” a Manhattan, secondo “Vanity Fair. Proprio BlackRock, aggiunge “Limes”
è probabilmente il vero regista della
crisi italiana del 2011, o meglio della capitolazione dell’Italia di fronte
agli appetiti della grande finanza.
Lo
spread fra i Bund tedeschi ed i nostri Btp iniziò a dilatarsi non appena il “Financial Times” rese noto che nei primi sei mesi
di quell’anno Deutche Bank aveva venduto l’88% dei titoli che possedeva, per 7
miliardi di euro.
“Molti videro un attacco al nostro paese ispirato
da Berlino e dai poteri forti di Francoforte”, ma
forse – secondo Limes – non era così.
La
rivista di Caracciolo rivela che il potente istituto di credito tedesco aveva
allora un azionariato diffuso, il 48% del capitale sociale era detenuto fuori
dalla Repubblica Federale, e il suo azionista più importante era proprio BlackRock con il 5,1%. Peraltro, aggiunge la Bruzzone
sulla “Stampa”, OGGI LA “Roccia Nera” detiene in Deutsche Bank una quota ancor
maggiore (il 6,62%) e ne è il maggior azionista, seguito da Paramount Service Holdings, basato alle Isole
Vergini Britanniche.
Si
può escludere che il fondo non abbia avuto alcuna parte in una decisione tanto
strategica come quella di dismettere in pochi mesi quasi tutti i titoli del
debito sovrano di un paese UE?
Se
attacco c’è stato non è detto che sia stato perpetrato dalle autorità politiche
ed economiche della Germania: è un fatto che a picchiare più duramente contro i
nostri titoli a partire dall’autunno 2011 siano proprio “Standard & Poor’s” e “Moody’s”.
Un
ipotesi, quella di Limes, che getta nuova luce su tanta parte della narrazione
di questi anni sulla Germania, l’Europa e i Piigs, a partire dalle polemiche di
quell’agosto bollente, con Merkel e Sarkozy fustigati da Giuliano Amato sul
“Sole 24 Ore”, anche se Amato – ricorda Buzzone – in quel 2011 era fra l’altro
“senior advisor” proprio della Deutsche Bank.
E
chissà che la decisione di Deutsche Bank di vendere i titoli di Stato di
Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna, la tempesta finanziaria non
sarebbe iniziata. Un ipotesi realistica, secondo la Bruzzone, che apre altri
interrogativi: sugli intrecci fra potere finanziario e politico, sul “potere
sovrano” degli Stati Uniti (anche dalla potente Germania) e sulla composizione
azionaria di questi onnipotenti istituti.
Banche,
fondi, superfondi: di chi sono?
Chi
decide che cosa, al di là dei luoghi comuni ripetuti delle narrative ufficiali?
La
fine della Deutsche Bank come motore sano dell’economia industriale tedesca
risale all’epoca del crollo dell’URSS, quando l’attenzione della finanza
angloamericana si concentra sull’Europa. E
avviene a seguito di misteriosi omicidi, scrive la giornalista della
“Stampa”, ricordando che Alfred Herrhausen, presidente della banca e
consigliere fidato del Cancelliere Kohl – un uomo che aveva in mente uno
sviluppo della mission tradizionale e stilò addirittura un progetto di
rinascita delle industri ex comuniste, in Germania, Polonia e Russia, andandone
persino a parlarne a Wall Street – venne
improvvisamente freddato fuori dalla sua villa, a fine 1989. Si disse dalla
Raf, o dalla Stasi, o da altri ancora.
Stessa
sorte toccò al suo successore, altro economista che si era opposto alla
svendita delle imprese ex comuniste elaborando piani industriali alternativi
alla privatizzazione. Fu ucciso nel 1991 da un tiratore scelto.
Dopo
di lui, alla sede londinese di Deutsche Bank arriva uno squadrone di ex banchieri
della Merrill Lynch, compreso il capo, che
diventa presidente, riorganizzando tutto in senso moderno. Anche lui però
muore, a soli 47 anni, in uno strano incidente del suo aereo privato.
Va
meglio al suo giovane braccio destro, Ansh Jain,
in indiano con passaporto britannico, cresciuto professionalmente a New York,
tutt’oggi presidente della banca diventata prima al mondo per quantità di
derivati, spodestando Jp Morgan: la Deutsche Bank, infatti è considerata fuori
dalle righe “La banca più fallita
del mondo”, esposta per 55.000 miliardi,
cioè 20 volte il Pil tedesco, a fronte di depositi per appena 522 miliardi.
“Quanto è pericoloso il potere di mercato
delle maggiori banche d’investimento?”
Se
lo chiedeva due anni fa lo “Spiegel”, riportando un durissimo scontro fra Deutsche Bank
ed il ministro tedesco dell’economia, il super-massone Wolfgang
Schaeuble.
Scriveva
il settimanale: “Un pugno di società
finanziarie domina il trading di valute, risorse naturali, prodotti a
interesse. Migliaia di investitori comprano, vendono, scommettono. Ma le
transazioni sono in mano ad un club di istituti globali come Deutsche Bank, Jp
Morgan, Goldman Sachs. Quattro banche maneggiano la metà delle transazioni di
valuta: Deutsche Bank, Citigroup, Barclays e Ubs”.
Un’altra ragione che dovrebbe farci
prestare attenzione alla “Roccia Nera”,
aggiunge “Limes”, è che ha messo radici
in molte realtà imprenditoriali nel nostro paese. Per “L’Espresso”
addirittura, “si sta comprando l’Italia”.
Se
un altro colosso americano, State Street
Corporations, ha acquistato la divisione “securities” di Deutsche Bank e
nel 2010 ha comprato l’attività di “banca depositaria” di Intesa San Paolo
(custodia globale, controllo di regolarità delle operazioni, calcoli
amministrazioni delle quote, servizi ausiliari, gestione dei cambi e prestito
dei titoli), è proprio BlackRock a far la parte
del leone.
A
fine 2011, il super-fondo americano aveva il 5,7% di Mediaset; il 3,9% di
Unicredit; il 3,5% di Enel e del Banco Popolare; il 2,7% di Fiat e Telecom
Italia; il 2,5% di Eni e Generali; il 2,2% di Finmeccanica; il 2,1% di Atlantia
(che controlla Autostrade) e Terna; il 2% della Banca Popolare di Milano,
Fonsai, Intesa San Paolo, Mediobanca e Ubi.
E
oggi molte di queste quote sono cresciute e BlackRock
è ormai il primo azionista di Intesa San Paolo (5%). Stessa quota in Atlantia,
mentre avrebbe il 9,4% di Telecom. “Presidi
strategici che permetteranno a BlackRock di
posizionarsi al meglio in vista delle privatizzazioni prossime venture invocate
da molti “per far scendere il debito”,
scrive Limes. È la nuova ondata in arrivo, dopo quella del
1992-93 a prezzi di saldo. “La crisi dei
Piigs a che altro serve, se no?”.
Chi è BlackRock? Il web rivela, più che altro, un labirinto.
Secondo “Yahoo Finanza”, il maggiore azionista (21\,7%) sarebbe Pnc, antica
banca di Pittsburgh, quinta per dimensioni negli Usa, ma poco nota. Azionisti
numero uno e due sarebbero Norges Bank, cioè la banca centrale di Norvegia, e Wellington
Management Co., altro fondo di investimenti di Boston, con
2.100 investitori istituzionali in 50 paesi e asset per 869 miliardi di
dollari.
Poi ci
sono State Street Corporation, Fmr-Fidelity e Vanguard Group, che a loro volta sono gli unici investitori
istituzionali di Pnc. Sempre loro, i “magnifici quattro”, si ritrovano con
varie quote fra gli azionisti delle principali megabanche: non solo Jp Morgan, Bank of
America, Citigroup e Wells Fargo, ma anche le
banche d’affari come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of Ny
Mellon.
A
ricorrere nell’azionariato di questi istituti ci sono anche altre società e
banche, ma i “magnifici quattro” non mancano mai.
Oltre
ai soliti BlackRock, Vanguard, in Barclays – megabanca britannica che risale al
1690 – è presente anche Qatar Holding, sussidiaria del fondo sovrano del Golfo,
specializzata in investimenti strategici. La stessa holding qatariota è anche
maggior azionista di Credit Suisse, seguita dall’Olayan Group dell’Arabia
Saudita, che ha partecipazioni in svariate società di ogni genere, mentre
nell’altra megabanca elvetica, Ubs, si ritrovano BackRock,
un sussidiaria di Jp Morgan, una banca di Singapore e la solita Banca di Norvegia.
Barclays Investment Group compariva tra
i grandi azionisti di BlackRock, e viceversa, ma
prima della crisi del 2008: dopo, non più – almeno in apparenza. Su “Global
Research”, Matthias Chang mostra come nel
2006 “octopus” Barclays fosse davvero una piovra con tentacoli ovunque: Bank of America, Wells Fargo, Wachovia, Jp Morgan, Bank of New
York Mellon, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Morgan Stanley, Lehman Brothers e Bear Sterns, senza contare un lungo elenco di multinazionali
di ogni genere, americane ed europee, comprese le miniere, senza dimenticare i
grandi contractor della difesa.
Dopo la
crisi, che ha rimescolato le carte dell’élite finanziaria, il paesaggio cambia:
Barclays
Global Investors viene comprata nel 2009 da BlackRock.
Il maxi-fondo, che nel 2006 aveva raggiunto il trilione di dollari in asset,
dal 2010 al 2014 cresce ancora (fino ai 4.600 miliardi di dollari) insieme a
Vanguard, presente in Deutsche Bank. Seguite i soldi, raccomanda il
detective. Chi c’è dietro?
“Attraverso il crescente indebitamente degli
Stati –scrive Buzzone – megabanche e
superfondi collegati, già azionisti di multinazionali, stanno entrando nel
capitale di controllo di un numero crescente di banche, imprese strategiche,
porti, aeroporti, centrali e reti energetiche. Solo per bilanciare l’espansione
dei cinesi?”
È un
processo che va avanti da anni, “accelerato
molto dalla crisi del 2007-8 e dalle politiche controproducenti come
l’austerità, che sempre più si rivela una scelta politica”. Tutto ciò è “evidentissimo nei paesi del Sud Europa, Grecia
in testa, ma presente anche altrove e negli stessi Stati Uniti”. Lo dicono
blogger come Matt Taibbi ed economisti come Michael Hudson.
Titolo
del film: più che Germania contro Grecia, è la guerra delle banche verso il
lavoro. Guerra che continua, dopo Thatcher e Reagan, nel mondo definitivamente
globalizzato dai signori della finanza.
Nessun commento:
Posta un commento