domenica 4 luglio 2021

LA FINE DELLA CULTURA MERIDIONALE

 Dopo l'unità d'Italia il Piemonte chiuse tutte le scuole del sud per renderlo schiavo e colonizzato!


Nel 1734 il Sud andò a Carlo III di Borbone che, avendo in dote 28 milioni di ducati, pensò bene ricomporre lo Stato attraverso la cultura. Nacque così il ’700 napoletano.

La scuola fu l’istituzione realizzata per imporsi e per rinnovare il sapere della gente. Ogni città, ogni villaggio doveva essere provvisto di scuole pubbliche.

 Ogni provincia doveva avere una scuola per uomini ed una per donne, ove potessero apprendere le scienze primarie e le belle arti e, per i nobili, esercizi di colta società.

 Nella capitale fiorì l’Università con le diverse specializzazioni, università che era considerata come l’atto finale e sublime della pubblica istruzione.

 Nel 1806 molte leggi furono emanate nel Regno delle Due Sicilie : si ebbe l’apertura di scuole speciali come l’Accademia delle Belle Arti, la Scuola delle Arti e Mestieri, l’Accademia Reale Militare, la Politecnica, l’Accademia Navale, quella dei Sordomuti, una delle arti da disegno, un convitto di chirurgia e medicina, uno di musica.

 I seminari furono conservati e potevano svolgere regolarmente e mirabilmente la loro funzione sociale.

 Nacque allora anche la Società Reale, cioè un’accademia di storia ed antichità che si giovò di doni e privilegi e, così pure, quella detta d’incoraggiamento e pontaniana.

 L’istruzione pubblica permise a tutti di imparare l’arte del leggere e dello scrivere, consentendo ai figli dei contadini l’accesso agli uffici pubblici, la carriera nell’esercito e soprattutto la presa di coscienza delle libertà individuali e dell’indipendenza di cui godeva il Regno delle Due Sicilie.

 I Borbone profusero non poche energie per sviluppare l’istruzione pubblica che prima del 1806 era commessa a 33 scuole normali, ai seminari delle Diocesi Vescovili, ai corpi religiosi e all’Università degli Studi di Napoli.

 Ad Avellino vi era un collegio che conferiva i Gradi accademici per la giurisprudenza, la teologia e la medicina.

A Salerno si davano i gradi in medicina; gradi che fecero del dottorato salernitano una scuola rinomata in tutto il mondo.

Dopo il 1810 in tutti i comuni si istituirono scuole primarie gratuite a spese dei municipi; molte ne furono istituite nei capoluoghi di provincia.

 Ferdinando II volle incrementare la cultura ed il sapere nel suo Regno introducendo altre 16 cattedre nell’Università della capitale, l’Orto Botanico, il Collegio Veterinario; istituì quattro Licei a Salerno, Catanzaro, Bari e l’Aquila.

 Le spese per l’istruzione pubblica ammontavano a circa un milione di ducati all’anno.

 I regolamenti per le scuole primarie furono approvati il 21 dicembre 1819.

 Le ministeriali del 12 giugno 1821 e 7 agosto 1821 stabilirono il modo come dovessero scegliersi i maestri nelle scuole primarie. Con decreto del 13 agosto 1850 il Re nominò i Vescovi ispettori di tutte le scuole del Regno, pubbliche e private.

 A Napoli esistevano 14 istituti d’istruzione media superiore con 1.343 alunni; due istituti di nobili fanciulle con 303 educande; 32 Conservatori di musica frequentati da 2.134 studenti.

Dopo il 1861 il Piemonte, scientificamente, chiuse tutte le scuole che erano sovvenzionate con denaro pubblico.

 L’operazione doveva servire a due cose: rendere il Sud schiavo e colonizzato e trasferire i soldi, tutti quelli possibili, al Nord.

 Il Piemonte, indebitato di un miliardo di lire con le banche londinesi(Rothschild), aveva bisogno di liquidità costante, anche per portare a temine l’opera di pulizia etnica nel Mezzogiorno d’Italia.

 Prima ad essere attaccata fu l’istruzione pubblica, poi vennero svuotati tutti i forzieri delle banche e quelli dei comuni. Mai, nel Sud, la barbaria fu più feroce ed infame.

 Il Villardi, che era stato mandato nella capitale a smantellare l′apparato scolastico napoletano, così ricorda:

 Pareva che si volesse levar tutto a Napoli. Oggi per esempio, noi abbiamo sciolto l’Accademia delle Belle Arti, mentre si pagano tutti i professori; per l’istruzione secondaria, in una città di cinquecentomila anime, non abbiamo che un liceo di sessanta alunni e questo con un ministro intelligente e pieno di volontà… “.

 Ecco, il Regno delle Due Sicilie era finito nelle mani degli eredi di Vittorio Emanuele I, della dinastia più reazionaria d’Europa; quella cioè che, abolendo il Codice Napoleonico, ristabilì l’antica legislazione complicata e senza unità, i privilegi fiscali e l’antica legislazione penale con la fustigazione e, cosa più terribile, proibì i culti ai cattolici perseguitando anche mortalmente ebrei e valdesi e, cosa ancora più abominevole, ridiede tutta l’istruzione nelle mani delle scuole religiose a pagamento, abolendo quelle pubbliche istituite da Napoleone.

 Allo stesso modo represse con ferocia i tentativi dei genovesi di riacquistare l’antica dignità e libertà*.

(*Tra il 1 e il 10 aprile del 1849, il generale sabaudo Alfonso La Marmora ordinò ai suoi 30.000 bersaglieri il bombardamento di Genova che era insorta contro la tirannia piemontese.)

 I bersaglieri misero a sacco la città depredando beni e cose, violentando donne e bambini.

 Uccisero circa 600 Genovesi. Vittorio Emanuele II alla fine di quell’azione si congratulò con La Marmora definendo i cittadini di Genova “vile ed inetta razza di canaglie”.

 Chi non poteva pagarsi l’istruzione, secondo le leggi dei Savoia, doveva rimanere analfabeta e la classe contadina, chiamata dai montanari piemontesi classe infima da erudire con le fucilazioni e le torture. In pochi mesi il governo piemontese distrusse secoli di cultura, di tradizioni, di storia, secoli di libertà e dignità.

 Alla guida dei licei del Regno fu mandata gente illetterata, con il solo scopo di smantellare l’istruzione pubblica e rendere il popolo ignorante e servo. In poco tempo i piemontesi, sotto la gragnuola di ispettori, vice ispettori, delegati, bidelli, funzionari ed impiegati, quasi tutti venuti dal Piemonte, i quali non conoscevano nemmeno la lingua italiana, “‘nfrancesati” come erano, massacrarono e dissolsero la scuola primaria e secondaria.

 Gli scagnozzi e gli scherani di Vittorio Emanuele II, re dei galantuomini e della borghesia cisalpina, i servi del governo della destra storica, ebbero l’ordine di chiudere l’Accademia Napoletana delle Scienze e di Archeologia, famosissima in tutto il mondo, mentre L’Istituto delle Belle Arti fu abolito per decreto.

 Mai i Borboni avevano dissacrato la cultura, né la religione, né la dignità dei contadini e degli operai. La scuola superiore era affidata ad uomini di grande reputazione morale e professionalmente preparati. Ai sovrani napoletani poco importava, se politicamente fossero di idee repubblicane, liberali o legittimiste; sapevano che la matematica o la fisica non potevano essere politicizzate in una scuola seria. Uomini del calibro di Galluppi, Lanza, Flauti, De Luca, Bernardo Quaranta reggevano le cattedre universitarie.

 

Macedonio Melloni, cacciato da Parma per le sue idee liberali, fu accolto dai Borboni affinché portasse la sua esperienza nella scuola del Regno. Il Melloni era raccomandato presso il Governo Borbonico da Francesco Arago, ardentissimo e passionale repubblicano, ma ai Borboni interessava soprattutto “far funzionare le libere istituzioni nel modo migliore possibile”.

 Il ministro della P.I. BACCELLI nel 1894 nel fare il programma sulla nuova "Riforma della Scuola così si esprimeva nel suo preambolo:"...bisogna insegnare solo leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta, insegnare la storia con una sana impostazione nazionalistica, e ridurre tutte le scienze sotto un'unica materia di "nozioni varie", senza nessuna precisa indicazione programmatica o di testi, lasciando spazio all'iniziativa del maestro e rivalutando il più nobile e antico insegnamento, quello dell' educazione domestica; e mettere da parte infine l'antidogmatismo, l'educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere. Non devono pensare, altrimenti sono guai!».

 Gli studenti vengono "allevati" affinché diventino docili e remissivi lavoratori al servizio dello Stato o, nel caso di una ristretta minoranza, la nuova e fedele classe dirigente del paese.

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