INTRODUZIONE
Questa è la storia vera ed incredibile di una epidemia inventata.
Questa è la storia di un colossale affare in cui multinazionali, ricercatori, associazioni e istituti senza scrupoli hanno utilizzato il terrorismo sanitario al servizio del loro enorme business. E’ la storia di come, purtroppo, molti esseri umani inconsapevoli siano finiti nella macina, uccisi dalle stesse “terapie” che dovevano curarli.
“Tutti sono pronti a credere che la CIA menta, che il governo menta, che l’FBI menta, che la Casa Bianca menta. Ma che menta l’Istituto di Sanità no, non è possibile, la Sanità è sacra, tutto ciò che esce dagli Istituti Nazionali di Sanità è parola di Dio. Niente fa differenza, nemmeno la storia di come Gallo scoprì il virus, nemmeno il fatto che sia uno scienziato screditato e condannato per truffa. La strategia dell’establishment è sempre la stessa: ignorare. Meglio non rispondere, vuoi vedere che ci si accorge che c’è qualcosa di strano? Harvey Bialy, microbiologo.
PERCHE’
IL VIRUS
Le malattie infettive costituiscono oggi soltanto l’1% di
tutte le cause di morte nel mondo occidentale e ormai le grandi epidemie sono
per lo più scomparse. Il merito di questa situazione, che spesso viene
attribuito alla medicina, è in realtà dovuto al miglioramento delle condizioni
igieniche e alimentari.
Ci sono numerosi studi a livello statistico ed
epidemiologico che dimostrano come molte malattie (tubercolosi, difterite,
polmonite, ecc.) cominciarono ben prima dell’introduzione di cure efficaci.
E’ cosa ben nota, anche ai non addetti ai lavori, che gli
esseri umani e gli animali, sani o malati che siano, convivono da sempre con
migliaia di microbi, virus e batteri, in gran parte assolutamente innocui.
Alcuni son addirittura utili, come l’escherichia coli, che
colonizza l’intestino e aiuta la digestione. Perfino microbi patogeni provocano
malattie gravi solo in individui con il sistema immunitario indebolito.
Eppure gli scienziati sono sempre ossessivamente alla
ricerca di nuovi virus e batteri, nella speranza di attribuire loro la causa di
malattie che ritengono altrimenti inspiegabili. Le conseguenze di questa unica
direzione di ricerca spesso sono rovinose perché ritardano la comprensione
della vera causa e determinano la morte di molte persone.
In passato lo scorbuto, la pellagra ei beriberi (solo per
citare esempi eclatanti) sono state per lungo tempo attribuite ai batteri,
benché già allora alcuni ricercatori avessero dimostrato che erano dovute a
carenze alimentari.
Robert William, scienziato a cui si deve la
scoperta della vitamina B1, così ha commentato questo atteggiamento dei
cacciatori di microbi: “..la
batteriologia era arrivata ad essere la pietra angolare dell’istruzione medica.
A tutti i giovani medici era stata talmente istillata l’idea che le malattie
erano causate da un’infezione, che ben presto venne accettato come assiomatico
il concetto che non poteva esserci altra causa”.
Ma nonostante tutto questo, la memoria di passate epidemie
continua a suscitare angoscia e terrore. Poiché il virus è sempre un ottimo
mezzo per creare panico, ci sono motivi molto poco nobili per cui ad ogni
ipotetica nuova patologia si attribuisce sempre più spesso una genesi virale.
Attraverso la paura infatti si possono convogliare immense somme di denaro e indottrinare la popolazione verso terapie e i comportamenti voluti. Così, allo stesso modo, comincia l’incredibile storia dell’AIDS.
ESISTE
DAVVERO IL RETROVIRUS HIV?
Non esiste un documento scientifico ufficiale che provi che
il cosiddetto HIV, ammesso che esista, provochi l’Aids. A dispetto di ciò che
viene costantemente propagandato, il virus della immunodeficienza umana HIV non
è stato mai isolato e fotografato. Le recenti scoperte derivate dal Progetto
Genoma Umano hanno peraltro messo in grave crisi il concetto di retrovirus.
COME NASCE IL PROBLEMA HIV
Nell’aprile del 1984 il dottor Robert Gallo annunciò in una conferenza alla stampa
internazionale di aver scoperto un nuovo retrovirus che aveva chiamato HTLV-III
(oggi conosciuto come HIV), e questo era “la probabile causa dell’AIDS”. Lo
stesso giorno Gallo presentò il brevetto per un test di anticorpi, ora
generalmente riportato come “il test dell’AIDS”. L’annuncio prese di sorpresa
persino gli scienziati presenti tra il pubblico.
Quando alla fine la “prova
di Gallo” fu pubblicata settimane più tardi, vennero fuori numerosi problemi.
Le procedure di laboratori che Gallo e i suoi collaboratori utilizzavano per
provare l’isolamento vennero osservate soltanto nel 36% dei suoi pazienti di
Aida, e soltanto 88% era positivo al test “degli anticorpi HIV”.
Inoltre, per assicurare
che soltanto i pazienti in AIDA e non l’intero gruppo di controllo risultasse
positivo al test degli anticorpi, egli aveva diluito il sangue 500 volte. A
diluizioni minori troppi soggetti sani del gruppo di controllo risultavano
positivi al test. Questi fatti dovrebbero essere sufficienti a gettare seri dubbi
sulle affermazioni di Gallo che egli avrebbe scoperto un nuovo retrovirus come
“probabile causa dell’AIDS.
Grazie a questa
“scoperta”, Gallo oggi percepisce l’1% dei proventi mondiali derivati dai test
HIV. Tutta la carriera di Gallo è costellata di episodi che di scientifico
hanno molto poco. Un eccellente elenco di quanto corrotta, ingannevole (e
probabilmente perfino criminale) è stata la sua ricerca, può essere trovato nel
libro “Science Fiction” di John Crewdson, un giornalista scientifico del Chicago
Tribune.
In realtà tutto quello che
aveva scoperto Gallo era un’attività enzimatica che lui attribuiva al presunto
retrovirus, e le fotografie che mostrò erano di particelle simil-virali senza
nessuna prova che fossero virus.
A tutt’oggi il vero virus
non ancora stato isolato, e le foto che vengono spesso mostrate sulle copertine
dei giornali sono sempre e soltanto realizzazioni grafiche di fantasia. Eppure,
grazie a quella famosa conferenza stampa, da quel momento tutto il mondo ha
cominciato a credere che l’Aids fosse dovuto ad un virus.
Così è nato il problema
HIV e così dal 1984 ad oggi sono stati pubblicati più di 10.000 studi sull’HIV,
ma nessuno di questi ha potuto dimostrare in maniera plausibile o provare in
modo concreto che l’HIV causi l’AIDS. A tutt’oggi non esiste un documento
scientifico ufficiale che fornisca una prova definitiva.
KARY MULLIS
Il premio Nobel Kary Mullis, inventore della PCR (Polymerase Chain Reaction), ha cercato invano per
anni questo fondamentale documento. Di conseguenza ad ogni occasione, congresso
scientifico, conferenza, seminario o incontro ha interpellato svariati virologi
ed epidemiologi su dove trovare il riferimento bibliografico che spiegasse come
l’HIV provochi l’AIDS. Ma nessuno dei colleghi è mai stato in grado di
precisarlo. E neanche Montagnier e Gallo (considerati i massimi esperti
mondiali di Aids) sono stati in grado di fornirglielo. Perché non esiste.
LA “PROVA” FORNITA DAL NIAID
Per mettere una toppa a questa grave carenza, nel 1994
l’Ufficio di Comunicazione del NIAID/NIH, National Institute of Allergy and Infectious
Diseases/National Institute of Health, realizzò un documento
intitolato: “La Prova che l’HIV è causa dell’Aids”. E’ il documento più
completo che si conosca che tenta di rispondere all’affermazione che l’HIV non
è la causa dell’Aids.
Ma questo elaborato, che viene spesso citato come prova
definitiva, di fatto non è documento scientifico, come hanno dimostrato in una
puntuale confutazione alcuni ricercatori internazionali.
Oltre ad essere un documento anonimo, è infatti seriamente
screditato dal mancato rispetto degli standard scientifici e fallisce nel
fornire una prova credibile a sostegno del suo assunto fondamentale. Si tratta
quindi soltanto dell’ennesimo strumento di propaganda.
UNO SCIENZIATO CONTRO: PETER DUESBERG
Peter Duesberg, membro della prestigiosa
National Academy of Science, è docente di biologia molecolare e cellulare
presso la University
of California a Berkeley, oltre ad essere un pioniere nella ricerca
dei retrovirus e il primo scienziato ad aver isolato un gene del cancro.
E’ uno dei pionieri più prestigiosi tra i dissidenti della
ricerca. Gli ingenti finanziamenti di cui disponeva come ricercatore di fama mondiale
gli sono stati drasticamente ridotti quando ha cominciato a mettere in dubbio
il dogma Hiv-Aids e la teoria della trasmissione sessuale del morbo.
Il primo marzo 1987 sulla prestigiosa rivista Cancer Research comparve un suo articolo in cui affermava che non
vi erano prove convincenti del fatto che un retrovirus come l’HIV sia in grado
di causare l’AIDS. Da allora Peter Duesberg è
uno degli uomini più discussi d’America.
Le sue ipotesi e le sue affermazioni sono state di volta in
volta definite “irresponsabili”, “pericolose”, “immorali”, “dannose” e perfino
“criminali”. Per alcuni Duesberg è una minaccia
pubblica, per altri invece un novello
Galileo in lotta contro l’ottusità dominante. Secondo il direttore
dell’autorevole periodico medico The Lancet, Duesberg è “probabilmente lo scienziato vivente più diffamato in assoluto”, per
altri addirittura il “Nelson Mandela dell’AIDS, colui che guida la lotta contro
l’Apartheid dell’HIV”.
Nonostante le sue previsioni trovino sempre più conferme a
livello epidemiologico, oggi è stato emarginato da una comunità scientifica che
ha tutto l’interesse a perseguire una strada ricchissima di finanziamenti. Le
sue tesi non sono ancora state confutate, mentre alle sue domande ed obiezioni
si è risposto che: “… dovrebbe essergli
impedito di parlare in televisione. Si, una linea auspicabile sarebbe quella di
impedire i confronti televisivi con Duesberg” (Nature, 1993).
INNOCUITA’ DEI RETROVIRUS
Dal 1970, anno in cui si ipotizzò l’esistenza dei
retrovirus, ne sono stati individuati ed isolati circa 200, tutti assolutamente
innocui. Tutti meno quello HIV, che oltre ad essere assolutamente terribile è
anche l’unico mai realmente isolato.
PROGETTO GENOMA E RETROVIRUS
Ma sin dal 2001, anno in cui sono arrivati i risultati del Progetto per la mappatura del Genoma Umano è stato chiaro che stava per essere irrimediabilmente buffato a mare il concetto stesso di “retrovirus”.
Per
comprendere a fondo la questione è necessaria una breve digressione di storia
della biologia. La visione accettata sin dagli anni ’50 era che il DNA
trascrive le informazioni al RNA, (e mai il processo inverso) attraverso una
relazione gerarchica rappresentata dal flusso unidirezionale DNA->RNA->
(acido ribonucleico), era quindi considerato l’umile messaggero del DNA (acido
desossiribonucleico) che governava invece la cellula.
Questo era il dato fondante del cosiddetto “Dogma Centrale della Genetica Molecolare”, su cui si è
basata tutta la biologia dagli anni cinquanta in poi. Il concetto di
“retrovirus” prese forma quando nel 1970 fu scoperto, in estratti di certe
cellule, un enzima (denominato poi “transcriptasi inversa”) capace di
convertire la molecola di RNA in DNA. I ricercatori, insomma, verificarono che
alcuni RNA trascrivevano sé stessi “all’inverso” al DNA. Ma (in ossequio al
Dogma Centrale) si dissero che qualsiasi cosa causa la trascrizione dal RNA al
DNA è da considerarsi eccezionale e deve essere una sorta di contaminazione
virale (da cui il termine “retrovirus”).
Dunque, negli anni ’70, in qualsiasi momento e in qualsiasi
luogo l’attività transcriptasica inversa venisse rivelata si riteneva che i
retrovirus fossero presenti. Questo si dimostrò un grave errore, poiché era già
noto agli inizi degli anni ’80 che la medesima attività enzimatica era presente
in tutta la materia vivente provando così che la transcriptasi inversa non
aveva niente a che fare con i retrovirus per sé.
La questione è stata ben sintetizzata nel 1998 dal virologo
Stephen
Lanka. “…studiando la biologia
evolutiva trovai che ognuno dei nostri genomi, e quelli delle maggiori piante e
animali, è il prodotto della cosiddetta trascrizione inversa. RNA che si
trascrive nel DNA. L’intero gruppo di virus cui l’HIV apparterrebbe, i
retrovirus nei fatti non esiste per nulla”.
Ciò nonostante molti scienziati non tennero conto di questa
evidenza e continuarono a lavorare alacremente sull’ipotesi oramai falsificata.
Ma gli ultimi sviluppi del fonte dimostrano ormai
inequivocabilmente che il passaggio da RNA a DNA non è affatto una aberrazione,
piuttosto è ciò che potrebbe spiegare la complessità umana. Il DNA sarebbe
allora come una sorta di libreria dove il RNA va a prendere le informazioni che
gli servono per governare la cellula.
Il Dogma Centrale è soltanto una costruzione teorica che
non ha retto alla prova dei fatti. Queste recenti scoperte segnano la fine del
paradigma HIV/AIDS, e spiegano perché la scienza ha fallito la cura della
malattia a dispetto di almeno venti anni di sforzi. Perché se l’HIV è un
retrovirus, la teoria virale dell’Aida è priva di fondamento.
QUANTO SONO AFFIDABILI I TEST SULLA SIEROPOSITIVITA’?
I test dell’Aids (Elisa e Westernblof) non sono attendibili
perché, oltre a non essere precisi, esistono più di sessanta fattori diversi
che possono dare dei falsi positivi. I test non sono standardizzati, i
risultati variano da laboratorio a laboratorio, le linee guida per la loro
interpretazione variano da paese a paese. Inoltre si può risultare positivi al
Westemblot e negativi all’Elisa, o viceversa.
Due sono le analisi fondamentali per stabilire la
sieropositività in una persona: l’Elisa e il Western Blot. Nell’Elisa una
miscela di proteine dell’Hiv reagisce con anticorpi nel siero prelevato dal
paziente, provocando una variazione di colore nel preparato. Il test Elisa
produce fino al 90% di errore in una sola direzione (i negativi li fa diventare
positivi, i positivi rimangono tali e quali).
Nel WB, le proteine dell’Hiv vengono separate su una
striscia di nitrocellulosa. Questo consente una reazione individuale delle
singole proteine, che vengono visualizzate con una serie di bande di colore più
scuro. L’esame WB viene utilizzato di solito a conferma di un test Elisa
positivo, ma risulta altamente impreciso anch’esso.
NON ESISTONO CRITERI STANDARD
Prima del 1987 una sola banda Hiv specifica era considerata
come prova di un avvenuto contagio, in seguito si venne a scoprire che il 25%
degli individui sani – e non a rischio – presentano bande Hiv, specifiche e
quindi fu urgente ridefinire un WB positivo aggiungendo bande extra e
selezionandone di particolari. Ma anche in tal modo i problemi sono sempre
presenti: su 89.547 campioni di sangue analizzati, prelevati da degenti non a
rischio ed in maniera anonima in 26 ospedali americani, una percentuale del
21,7% dei maschi e il 7,8% delle femmine risultò positiva al test WB.
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