Tutti
sanno che i Vichinghi erano abili navigatori e che la loro unica bussola fosse
il sole: ma come avrebbero fatto, a quelle latitudini, a muoversi senza perdere
la rotta nelle giornate in cui il cielo era interamente coperto da una fitta
coltre di nubi?
E’ noto che i Vichinghi hanno percorso migliaia di
chilometri in direzione dell’Islanda e della Groenlandia, e hanno molto
probabilmente scoperto il Nord America intorno all’anno 1000, molto prima di Cristoforo Colombo.
Ma la loro capacità di navigare senza una bussola su
distanze così lunghe e in condizioni molto sfavorevoli (notte polare, neve
ecc.), rimane ancora un mistero.
Alcune saghe islandesi (racconti epici basati su veri
episodi della storia vichinga) raccontano delle cosiddette Pietre del Sole, con cui gli antichi navigatori del grande Nord
riuscivano a localizzare la posizione dell’astro per orientarsi in qualsiasi
condizione climatica. Ma sul funzionamento di queste enigmatiche pietre gli
antichi racconti non forniscono spiegazioni.
Nel 1969, un archeologo danese ipotizzò che le pietre
potessero servire a misurare la polarizzazione della luce solare. La
polarizzazione è un fenomeno che si verifica quando la luce incontra un
ostacolo, come una superficie lucida o un banco di nebbia, facendo assumere ai
suoi raggi un particolare orientamento.
Rilevarla, come sono in grado di fare alcuni animali,
ad esempio le api, avrebbe aiutato i navigatori vichinghi a orientarsi anche
con il tempo coperto.
Uno studio più recente, pubblicato da Proceedings of
The Royal Society A, ha proposto un’interessante spiegazione per questo
misterioso enigma dell’antichità: stando a quanto sostengono i ricercatori,
dietro la leggendaria pietra del sole si celerebbe effettivamente un minerale
che avrebbe potuto essere utilizzato dai vichinghi allorché essi veleggiavano.
Il team di scienziati dell’Università di Rennes, è
giunto alla conclusione che queste antesignane delle moderne bussole sono
esistite realmente e che il loro funzionamento non avesse nulla di magico.
Infatti, per individuare la posizione del sole nascosto bisogna calcolare
l’orientamento delle onde di luce lungo il percorso.
Anche in una giornata nuvolosa il cielo si presentava
agli occhi dei Vichinghi come uno schema di anelli concentrici di luce
polarizzata con il sole al centro: sfruttando un cristallo in grado di
depolarizzare la luce è possibile calcolare la posizione degli anelli intorno
al sole nascosto.
Si tratterebbe dello Spato d’Islanda, un cristallo
di calcite trasparente, effettivamente reperibile in Scandinavia, in grado di
polarizzare la luce solare e di rinfrangerla, che consente con una semplice
rotazione di collocare esattamente la posizione del grande astro nel cielo,
anche quando non è visibile, fornendo così esattamente le coordinate da seguire
ai naviganti.
In altre parole, la luce che attraversa la calcite è
divisa in due “fasci”, che formano una doppia immagine sul lato più lontano. La
luminosità di ciascuna immagine dipende dalla polarizzazione della luce.
Dunque, facendo passare della luce attraverso la
calcite e cambiando l’orientamento del cristallo fino a che le proiezioni dei
raggi sono ugualmente brillanti, è teoricamente possibile rilevare gli anelli
concentrici della polarizzazione e di conseguenza la posizione del sole.
Ma la teoria è una cosa, la pratica un’altra: Guy Ropars, fisico all’Università di Rennes, ha
condotto un esperimento con un cristallo che potrebbe essere stato usato come
“pietra del sole” dagli antichi vichinghi: un pezzo di spato islandese trovato
a bordo della Alderney, una nave britannica affondata nel 1592.
La pietra scoperta è grande meno di 3 piedi (1 metro)
ed è provvista di un paio di divisori di navigazione della nave. In
laboratorio, Ropars e i suoi colleghi hanno irradiato il pezzo di spato
islandese con una luce laser in parte polarizzata.
Passando attraverso il cristallo, la luce si divideva
in due raggi, polarizzato e no; ruotandolo, esisteva solo un punto in cui i due
raggi avevano la stessa intensità. L’angolo di ingresso della luce dipende
dalla posizione del raggio.
L’equipe di studiosi ha arruolato 20 volontari che, a
turno, hanno guardato attraverso il cristallo nei giorni nuvolosi, cercando di
localizzare così la posizione del sole. Si è scoperto che, in media, i
volontari riuscivano a trovarla con un solo grado di errore, sui 360 in cui
tradizionalmente è divisa la volta celeste.
I risultati confermano che “lo spato islandese è un cristallo ideale, che può essere usato con
grande precisione” per localizzare il sole, sostiene Susanne Akeson, ecologa dell’Università di Lund,
in Svezia.
Nel 2010 un’equipe guidata dalla Akeson ha dimostrato
che le condizioni meteorologiche influenzano la polarizzazione della luce alle
latitudini artiche: un fenomeno di cui i Vichinghi avrebbero dovuto tenere
conto.
Lo stesso team dell’Università di Rennes, nei primi
giorni del mese di Marzo ha pubblicato un nuovo studio comparso Proceedings of the Royal Society A. I ricercatori hanno analizzato il
cristallo scoprendo che è composto da calcite, una forma di carbonato di calcio,
e che in origine era trasparente, differentemente dal momento del ritrovamento,
dato che i secoli passati sott’acqua lo avevano reso opaco.
I ricercatori credono che il cristallo avrebbe potuto
essere utilizzato a bordo della nave elisabettiana per aiutare a correggere gli
errori con una bussola magnetica. “In particolare, al tramonto quando il sole
non è più osservabile sotto l’orizzonte, e le stelle non ancora osservabili,
questo dispositivo ottico era in grado di fornire informazioni ai marinai, con
un riferimento assoluto in tale situazione”.
Non solo questi cristalli sono stati trovati ancora in
siti vichinghi. Il team sottolinea che per gli archeologi è difficile trovare
cristalli completi come parte di un gruppo di corredi funerari, dal momento che
i vichinghi spesso cremavano i loro morti.
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