martedì 9 dicembre 2014

MECCANISMO EUROPEO DI STABILITA’ : LE VERITA’

In molti si rincorrono oggi a criticare un Trattato internazionale, il cosiddetto Fiscal Compact, che avrà i suoi effetti dirompenti e drammatici per il nostro 
paese dal prossimo anno.


A chiedere la rinegoziazione di un accordo che prevede per il nostro paese l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio per Costituzione, quello del non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del Pil e una significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5%) annuo, fino al rapporto del 60% sul Pil nell’arco di un ventennio, sono, in modo sorprendente e tragicomico, anche quei partiti che l’hanno ratificato in Parlamento nel luglio del 2012 dietro le direttive dell’allora premier Mario Monti.

Il regime del partito unico che governa il paese dall’ex Commissario dell’Unione Europea, Monti; a Renzi passando per Letta, continua nella sua opera di mistificazione verso una popolazione della quale non interessa più il voto.

Troppo poco, a torto, si sa di un altro Trattato internazionale, quello istitutivo il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha istituito una nuova governance europea per la gestione della crisi.

Il MES ha già prodotto risultati pratici tangibili e enormi.                               L’Italia, considerando anche il vecchio Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (FESF) di cui il Mes è stato l’erede, ha già versato 46 miliardi di Euro dei 125 miliardi previsti fino al 2017. Soldi che chiaramente potevano essere utilizzati per rilanciare la nostra economia attraverso quei progetti eternamente sospesi per la mancanza di coperture. 

Al contrario, il MES ha permesso alle banche del Nord Europa di riprendere i crediti contratti nei paesi del Sud, in default a causa delle asimmetrie economiche insostenibili prodotte dalla moneta unica e emerse in maniera drammatica nel 2010. Il tutto è stato venduto all’opinione pubblica come un Fondo salva Stati.


Il MES: la natura del Trattato

Il Meccanismo Europeo di Stabilità – European Stability Mechanism o ESM – è un Trattato intergovernativo che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha di fatto istituito una nuova governance europea di gestione della crisi, parallela a quella costituita dai Trattati istitutivi dell’Unione Europea.

La creazione del MES è stata decisa nel Consiglio Europeo del 17-17 Dicembre 2010. In quell’occasione si è raggiunto l’accordo per avviare la procedura di revisione semplificata (ai sensi dell’art. 48 del Trattato dell’Unione Europea) riguardo all’art. 136 del Trattato Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e si è potuto introdurre il nuovo paragrafo 3, con il quale si riconosce in modo esplicito il potere degli Stati membri la cui moneta è l’Euro di dar vita ad un’istituzione finanziaria permanente, il MES appunto, con sede a Lussemburgo, non previsto originariamente dai trattati.

Dato che per creare il MES si è modificato appunto il Trattato, bisognava anche consultare il Parlamento, il con una risoluzione velocissima ha dato il 23 Marzo 2011 parere positivo pur sollevando diverse obiezioni. Senza tener modo in alcun modo delle critiche del Parlamento Europeo e recependo solo alcune modifiche introdotte dal Consiglio, il Trattato è entrato in vigore il 27 Settembre 2012, con l’avvenuto deposito da parte di un certo numero di Stati firmatari degli strumenti di ratifica. 

Il MES ha istituito un’organizzazione internazionale permanente con un capitale sociale pari a 700 miliardi di Euro, di cui solo 500 prestabili, rinnovabile all’infinito attraverso una decisione dell’istituzione stessa. Decisione della quale, a parte la Germania che l’ha escluso attraverso la sentenza del 12 Settembre del 2012 della sua Corte Costituzionale, i Parlamentari nazionali non potranno più avere voce in capitolo.


Perché si è deciso di costituire il MES?

Per far fronte alla crisi della zona euro che nel 2010 stava portando al collasso della moneta unica, si è deciso di ricorrere ad un accordo di diritto internazionale, con regole proprie che fuoriescono dal sistema normativo comunitario e creare un ente finanziario che ha come obiettivo quello di correggere gli squilibri finanziari maturati nell’ambito della zona euro. La finalità del MES non consiste quindi nel “salvataggio” degli Stati, ma, come ha spiegato molto bene Lidia Undiemi, in una conferenza organizzata alla Camera e come dimostrerà in un suo libro di prossima pubblicazione, nella creazione di una governance politica intergovernativa attraverso la quale potere intervenire tutte le volte che l’instabilità – a monte generata da una crisi della “bilancia dei pagamenti” – mette in discussione la sopravvivenza della moneta unica. 

Cosa prevede il MES?

Sono cinque i punti più importanti del Trattato che devono essere compresi meglio:
·         Il MES si baserà su un capitale garantito dagli Stati membri che utilizzerà sui mercati, dai quali attingerà poi le risorse richieste (art. 3 del Trattato istitutivo del MES).
·         Il MES “avrà piena personalità giuridica e capacità giuridica”, potrà quindi acquistare e alienare beni immobiliari e mobili o stipulare dei contratti. Tutti i suoi beni, fondi e averi godranno dell’immunità totale da qualunque procedimento giudiziario e saranno esenti da restrizioni, regolamentazioni, controlli e moratorie (art. 32).

·         Per aver accesso all’assistenza del MES, gli Stati dovranno rispettare le regole relative al Patto di stabilità e di crescita, i criteri di convergenza e i Memorandum d’intesa. Prima di ogni erogazione d’aiuti viene fatto firmare un Memorandum. Si tratta di un legame fondamentale e troppo spesso sottovalutato con il cosiddetto Fiscal Compact, che rende i due trattati un unicum politico nella creazione di quella nuova governance europea (Punto 5 del Preambolo).

         E’ stata, infine, introdotta una deroga alla regola dell’unanimità e le decisioni più urgenti saranno prese a maggioranza qualificata (art. 4). 


Si tratta di un meccanismo democratico?

Vista l’importanza che il MES ha assunto e assumerà nella gestione della politica interna dei vari Paesi che hanno chiesto e chiederanno il suo aiuto. E’ anzitutto importante osservare che il MES è costruito con soldi pubblici, ma viene gestito senza mai passare attraverso un organo democraticamente eletto.

La governance e l’istituzione è infatti tripartita tra il Consiglio dei Governatori formato dai ministri delle finanze della zona euro, un Consiglio d’Amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un Direttore Generale, che è responsabile dell’intera organizzazione, nominato a maggioranza qualificata dal Consiglio dei Governatori.

Il diritto di voto di ogni stato membro non ha eguale valore ma varia al variare della quota versata. E’ dunque evidente che il MES è saldamente nelle mani dei governi nazionali e poiché la Germania è il maggior contribuente è anche il paese che ha il maggior peso nelle decisioni.                                                     Tre sono i punti che devono essere messi maggiormente sotto i riflettori.

Primo. L’istituzione intergovernativa ed i membri dell’organizzazione – compresi quelli dello staff – sono per Trattato immuni da procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti nell’esercizio delle loro funzioni (art. 32, punto 1). Gli atti scritti e i documenti ufficiali redatti sono inviolabili: non è previsto alcun meccanismo d’accesso. Persino i locali e gli archivi del MES sono inviolabili. Il direttore generale del MES può revocare l’immunità di qualsiasi membro del personale del MES eccetto se stesso (art. 35). Insomma è intoccabile.

Secondo. L’esperienza dei Paesi dove ha operato effettivamente il MES. I casi di Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro ci forniscono già quattro indizi che fanno più di una prova: attraverso il MES, i creditori internazionali della Troika si sostituiscono di fatto nella gestione della “politica economica” del paese debitore. Lo Stato che chiede un prestito deve, infatti, sottostare ad una “rigorosa condizionalità” nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di progressivo rientro del suo debito pubblico. 

Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite. Il Paese in difficoltà che ha bisogno del prestito deve in poche parole cedere la propria sovranità nella definizione delle scelte di politica economica. Imporre ad una nazione in difficoltà un’agenda economica per soddisfare le richieste di un’istituzione finanziaria, perlopiù deresponsabilizzata grazie all’immunità, è qualcosa che va aldilà di ogni regola democratica.

Terzo. Il MES è infine un’organizzazione che opera concretamente come tutti gli enti finanziari e quindi eroga prestiti, rivolgendosi al mercato con l’obiettivo ultimo di un profitto. I privati – tra cui rientrano finanziatori come Nomura, Goldman Sachs, Merril Lynch e praticamente tutti i principali istituti di investimento mondiali – sono poi ammessi (punto 12 del Preambolo), in qualità di osservatori, a partecipare alle riunioni che hanno ad oggetto la valutazione della concessione del credito al paese richiedente, nonché la definizione delle rigorose prescrizioni da imporre alla nazione “minacciata”. 

Questa ingerenza si traduce nel serio rischio che a dettare le disposizioni di politica economica da applicare nel territorio dello Stato debitore siano coloro che concedono i soldi al fondo. La sovranità dei singoli Stati membri rischia quindi di essere sostituita da una governance economica privata in grado di imporsi facilmente sugli organi sovrani dei vari Paesi membri.


Il caso specifico della Grecia


Il paese che in modo tragicomico Mario Monti aveva definito il grande successo dell’euro, la Grecia, dopo tre anni di Troika vive una situazione praticamente post-bellica. Con il 28% di disoccupazione, uno Stato sociale che semplicemente non esiste più e con la progressiva perdita di tutti i “gioielli di stato” a causa delle privatizzazioni imposte tra le “rigorose condizionalità”, il Paese culla della democrazia è oggi il prototipo di quello che potrebbe accadere a tute le nazioni che si troveranno costrette a richiedere, per qualunque ragione di volatilità dei mercati non legati ai fondamentali economici, l’intervento del MES.

Alcuni dati forniti recentemente da Macropolis ci possono dare il senso del dramma in corso in Grecia: il 34,6% della popolazione vive a rischio povertà o esclusione sociale (dati del 2012), il reddito dei proprietari di immobili si è contratto del 30% dall’inizio della crisi, con circa un terzo che dichiara ormai di essere indietro con i pagamenti e il 40% che non è in grado di adempiere a tutte le scadenze per quest’anno.

La Pubblic Power Corporation slaccia la corrente a circa 30 mila case ed uffici al mese per bollette non pagate. La disoccupazione è cresciuta del 160% complessivo e oggi 3,5 milioni di persone occupate devono tenere in vita i 4,7 milioni di disoccupati o inattivi. Solo il 15% dei disoccupati poi riceve assistenza finanziaria dallo Stato, non c’è, infine alcun welfare poi per i lavoratori autonomi – o partite IVA – che rappresentano il 25% della forza lavoro del Paese.

I trasferimenti sociali sono stati tagliati di oltre il 18%, i tagli alla sanità di oltre l’11,1% tra il 2009 e il 2011 e sono i maggiori mai registrati nella storia dall’Ocse. Almeno il debito pubblico sarà per lo meno ora sotto controllo? Non proprio. Al 169% del Pil, la Grecia resta un paese fallito.

Ad esser onesti l’intervento del MES e della Troika un beneficio l’ha prodotto : le banche creditizie del Nord Europa hanno potuto recuperare i loro crediti altamente esposti nel paese, mentre al governo di Atene sono rimaste le briciole dei vari miliardi di “aiuti” erogati dai creditori internazionali.

Solo il 19% del denaro dei salvataggi è finito infatti nelle casse greche, il 18% alla BCE, il 23% alle istituzioni finanziarie greche, cioè ancora alla BCE della quale sono parte, e quindi i greci non possono beneficiarne pienamente; mentre il 40% è andato ad assicurazioni, banche e compagnie finanziarie al di fuori della Grecia. Praticamente il 58% del salvataggio della Grecia non va alla Grecia.

Considerando poi i cosiddetti accordi di repurchase stipulati dalle istituzione greche, il dato, calcola Zero Edge, supera anche il 70%. La minaccia della mancata erogazione da parte della Troika della nuova tranche di “aiuti” ha costretto e costringerà i Paesi – rientrano anche Cipro, Portogallo, Irlanda ed in parte la Spagna in questa logica – a sottostare alle “rigorose condizionalità”.

In un momento di crisi finanziaria, economica e sociale come quella attuale, gli interventi di “salvataggio” possono essere all’ordine del giorno: nel momento in cui si affida agli Stati economicamente più forti, al di fuori del diritto dell’UE, la possibilità di poter dettare delle “misure rigorose” – oltre che dell’agenda economica anche quella politica – il MES e il suo braccio armato della Troika si sostituisce di fatto alle istituzioni nazionali. Al di là della convenienza finanziaria questo è l’aspetto che deve essere posto al centro del dibattito.

Non solo coloro che la stampa mainstream bolla come “eversivi populisti” hanno iniziato a comprendere come il MES e la nuova governance che si è voluta creare rappresenti una grave minaccia ai sistemi democratici europei. 

Incaricato dalla Confederazione europea dei sindacati di esaminare la legittimità dei cosiddetti protocolli di intesa (MOU), il professore di diritto europeo all’Università di Brema, Andreas Fisher Lescano ha sostenuto come “ci sono dei limiti a ciò che si può scrivere in un memorandum d’intesa. La Troika ed i MOU non possono essere oltre la legge”.


Di fatto, i creditori internazionali della Troika – Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale – violano, secondo Fisher Lescano, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, un testo giuridico divenuto vincolante per gli Stati membri nel 2009. Per questo, le misure di austerità sancite dai memorandum d’intesa, soprattutto per quel che riguarda lavoro, sanità e istruzione, potrebbero essere impugnate dai tribunali europei.

Di particolare interesse è poi la relazione redatta per il Parlamento Europeo, approvata il 12 Febbraio a larghissima maggioranza (27 sì, 7 no dei conservatori e di qualche liberale, 2 no della Sinistra Unita) dalla Commissione lavoro, del relatore spagnolo Alejandro Cercas, che accusa senza mezzi termini come “Eurogruppo, BCE e FMI abbiano violato leggi e trattati e provocato negli ultimi quattro anni una catastrofe sociale e politica senza precedenti in Europa”.

Ancora più importante è la relazione “Indagine sul ruolo e le attività della Troika (BCE, Commissione e FMI) relativamente ai Paesi dell’area dell’euro oggetto di programmi” con relatori Othmar Karas e Liem Hoang Ngoc, approvata dalla Commissione economia e nella quale si arriva addirittura a chiedere la fine dell’esperienza della Troika, tra l’altro per la mancanza dii trasparenza democratica interna e il conflitto d’interessi di Banca Centrale e Commissione.
Il Parlamento in seduta plenaria voterà questa relazione.    

Ma, ampiamente compromesso e pienamente responsabile del fallimento della gestione della crisi della zona euro, il suo gesto sarà una tardiva presa di posizione che non potrà cambiare il giudizio complessivo sul suo operato. Al contrario, se nelle prossime elezioni dovessero prevalere le cosiddette forze euro-scettiche, quella stessa relazione potrà rappresentare la base per la prima profonda scossa della struttura economica europea.


Quali difese sono rimaste oggi agli Stati?

Viene da chiedersi come mai nessuno si sia opposto a uno strumento che quando ha utilizzato ha avuto solo effetti devastanti. Per la verità nel 2012 un deputato del parlamento irlandese, Thomas Pringle, ha contestato presso la Corte di Giustizia Europea il procedimento nazionale di ratifica del MES.

Secondo Pringle l’utilizzo della procedura di revisione semplificata sarebbe stato illegittimo poiché non era applicabile all’introduzione di un meccanismo che andava pesantemente ad incidere sull’intera politica economica e monetaria dell’Unione. In secondo luogo, il deputato si chiedeva se il MES per le sue gravi implicazioni sociali non fosse in contrasto con quei valori di crescita economica sostenibile e di solidarietà che stanno a fondamento dell’Unione Europea.

Ciò che in sostanza si constatava era la conformità del MES ai trattati europei, ed in particolare al Trattato di Lisbona, che aveva inglobato al suo interno anche la Carta dei diritti di Nizza. Come è noto la Corte ha rigettato il ricorso, ma è altrettanto noto che a livello europeo numerosi sono stati nella dottrina i commenti critici, tanto che è molto probabile in futuro sorgano ulteriori controversie.

In molti hanno iniziato a sottolineare come il MES abbia prodotto un sostanziale mutamento della governance economica europea ormai affidata ad una tecnocrazia che ha depotenziato sia la sovranità degli Stati, sia le istituzioni democratiche europee.

Per salvare una moneta si sono indeboliti i Parlamenti nazionali e il Parlamento Europeo. La sovranità finanziaria di bilancio non spetta né agli Stati nazionali e neppure all’Unione, ma ad un’oligarchia tecnocratica transnazionale priva di qualsiasi legittimità democratica ed immune da qualsiasi controllo. Per salvare un mostro, una moneta nata male e proseguita peggio, stiamo facendo a pezzi le nostre Costituzioni e ora perfino quei diritti che l’Unione Europea con la Carta dei Diritti di Nizza intendeva tutelare.


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