In molti si rincorrono oggi a criticare un Trattato
internazionale, il cosiddetto Fiscal
Compact, che avrà i suoi effetti dirompenti e drammatici per il nostro
paese dal prossimo anno.
paese dal prossimo anno.
A chiedere la rinegoziazione di un accordo che prevede
per il nostro paese l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio per
Costituzione, quello del non superamento della soglia di deficit strutturale
superiore allo 0,5% del Pil e una significativa riduzione del debito pubblico
al ritmo di un ventesimo (5%) annuo, fino al rapporto del 60% sul Pil nell’arco
di un ventennio, sono, in modo sorprendente e tragicomico, anche quei partiti
che l’hanno ratificato in Parlamento nel luglio del 2012 dietro le direttive
dell’allora premier Mario Monti.
Il regime del partito unico che governa il paese
dall’ex Commissario dell’Unione Europea, Monti;
a Renzi passando per Letta, continua nella sua opera di mistificazione verso una
popolazione della quale non interessa più il voto.
Troppo poco, a torto, si sa di un altro Trattato
internazionale, quello istitutivo il Meccanismo
Europeo di Stabilità (MES), che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha istituito una nuova governance europea per la gestione della
crisi.
Il MES ha già prodotto risultati pratici tangibili e
enormi.
L’Italia, considerando anche il vecchio Fondo Europeo di Stabilità
Finanziaria (FESF) di cui il Mes è stato l’erede, ha già versato 46
miliardi di Euro dei 125 miliardi previsti fino al 2017. Soldi che chiaramente
potevano essere utilizzati per rilanciare la nostra economia attraverso quei
progetti eternamente sospesi per la mancanza di coperture.
Al contrario, il MES ha permesso alle banche del Nord Europa di riprendere i crediti contratti nei paesi del Sud, in default a causa delle asimmetrie economiche insostenibili prodotte dalla moneta unica e emerse in maniera drammatica nel 2010. Il tutto è stato venduto all’opinione pubblica come un Fondo salva Stati.
Al contrario, il MES ha permesso alle banche del Nord Europa di riprendere i crediti contratti nei paesi del Sud, in default a causa delle asimmetrie economiche insostenibili prodotte dalla moneta unica e emerse in maniera drammatica nel 2010. Il tutto è stato venduto all’opinione pubblica come un Fondo salva Stati.
Il
MES: la natura del Trattato
Il Meccanismo Europeo di Stabilità – European
Stability Mechanism o ESM – è un Trattato intergovernativo che,
in modo complementare al Fiscal Compact, ha
di fatto istituito una nuova governance europea
di gestione della crisi, parallela a quella costituita dai Trattati istitutivi
dell’Unione Europea.
La creazione del MES è stata decisa nel Consiglio
Europeo del 17-17 Dicembre 2010. In quell’occasione si è raggiunto l’accordo
per avviare la procedura di revisione semplificata (ai sensi dell’art. 48 del Trattato
dell’Unione Europea) riguardo all’art. 136 del Trattato Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e si è potuto introdurre il nuovo
paragrafo 3, con il quale si riconosce in modo esplicito il potere degli Stati
membri la cui moneta è l’Euro di dar vita ad un’istituzione finanziaria
permanente, il MES appunto, con sede a Lussemburgo, non previsto
originariamente dai trattati.
Dato che per creare il MES si è modificato appunto il
Trattato, bisognava anche consultare il Parlamento, il con una risoluzione
velocissima ha dato il 23 Marzo 2011 parere positivo pur sollevando diverse
obiezioni. Senza tener modo in alcun modo delle critiche del Parlamento Europeo
e recependo solo alcune modifiche introdotte dal Consiglio, il Trattato è
entrato in vigore il 27 Settembre 2012, con l’avvenuto deposito da parte di un
certo numero di Stati firmatari degli strumenti di ratifica.
Il MES ha istituito un’organizzazione internazionale permanente con un capitale sociale pari a 700 miliardi di Euro, di cui solo 500 prestabili, rinnovabile all’infinito attraverso una decisione dell’istituzione stessa. Decisione della quale, a parte la Germania che l’ha escluso attraverso la sentenza del 12 Settembre del 2012 della sua Corte Costituzionale, i Parlamentari nazionali non potranno più avere voce in capitolo.
Il MES ha istituito un’organizzazione internazionale permanente con un capitale sociale pari a 700 miliardi di Euro, di cui solo 500 prestabili, rinnovabile all’infinito attraverso una decisione dell’istituzione stessa. Decisione della quale, a parte la Germania che l’ha escluso attraverso la sentenza del 12 Settembre del 2012 della sua Corte Costituzionale, i Parlamentari nazionali non potranno più avere voce in capitolo.
Per far fronte alla crisi della zona euro che nel 2010
stava portando al collasso della moneta unica, si è deciso di ricorrere ad un
accordo di diritto internazionale, con regole proprie che fuoriescono dal
sistema normativo comunitario e creare un ente finanziario che ha come
obiettivo quello di correggere gli squilibri finanziari maturati nell’ambito
della zona euro. La finalità del MES non consiste quindi nel “salvataggio”
degli Stati, ma, come ha spiegato molto bene Lidia
Undiemi, in una conferenza organizzata alla Camera e come dimostrerà in
un suo libro di prossima pubblicazione, nella creazione di una governance politica intergovernativa
attraverso la quale potere intervenire tutte le volte che l’instabilità – a
monte generata da una crisi della “bilancia dei pagamenti” – mette in
discussione la sopravvivenza della moneta unica.
Cosa prevede il MES?
Sono cinque i punti più importanti del Trattato che
devono essere compresi meglio:
·
Il MES si baserà su un capitale garantito
dagli Stati membri che utilizzerà sui mercati, dai quali attingerà poi le
risorse richieste (art. 3 del Trattato istitutivo del MES).
·
Il MES “avrà piena personalità giuridica e
capacità giuridica”, potrà quindi acquistare e alienare beni immobiliari e
mobili o stipulare dei contratti. Tutti i suoi beni, fondi e averi godranno
dell’immunità totale da qualunque procedimento giudiziario e saranno esenti da
restrizioni, regolamentazioni, controlli e moratorie (art. 32).
·
Per aver accesso all’assistenza del MES,
gli Stati dovranno rispettare le regole relative al Patto di stabilità e di
crescita, i criteri di convergenza e i Memorandum d’intesa. Prima di ogni erogazione
d’aiuti viene fatto firmare un Memorandum. Si tratta di un legame fondamentale
e troppo spesso sottovalutato con il cosiddetto Fiscal Compact, che rende i due trattati un unicum politico nella
creazione di quella nuova governance europea
(Punto 5 del Preambolo).
E’ stata, infine, introdotta una deroga
alla regola dell’unanimità e le decisioni più urgenti saranno prese a
maggioranza qualificata (art. 4).
Si
tratta di un meccanismo democratico?
Vista l’importanza che il MES ha assunto e assumerà
nella gestione della politica interna dei vari Paesi che hanno chiesto e
chiederanno il suo aiuto. E’ anzitutto importante osservare che il MES è
costruito con soldi pubblici, ma viene gestito senza mai passare attraverso un
organo democraticamente eletto.
La governance e
l’istituzione è infatti tripartita tra il Consiglio
dei Governatori formato dai ministri delle finanze della zona euro, un Consiglio d’Amministrazione (nominato dal
Consiglio dei governatori) e da un Direttore Generale,
che è responsabile dell’intera organizzazione, nominato a maggioranza
qualificata dal Consiglio dei Governatori.
Il diritto di voto di ogni stato membro non ha eguale
valore ma varia al variare della quota versata. E’ dunque evidente che il MES è
saldamente nelle mani dei governi nazionali e poiché la Germania è il maggior
contribuente è anche il paese che ha il maggior peso nelle decisioni. Tre sono i punti che devono essere messi maggiormente sotto i
riflettori.
Primo. L’istituzione
intergovernativa ed i membri dell’organizzazione – compresi quelli dello staff
– sono per Trattato immuni da procedimenti legali in relazione ad atti da essi
compiuti nell’esercizio delle loro funzioni (art. 32, punto 1). Gli atti
scritti e i documenti ufficiali redatti sono inviolabili: non è previsto alcun
meccanismo d’accesso. Persino i locali e gli archivi del MES sono inviolabili.
Il direttore generale del MES può revocare l’immunità di qualsiasi membro del
personale del MES eccetto se stesso (art. 35). Insomma è intoccabile.
Secondo.
L’esperienza dei Paesi dove ha operato effettivamente il MES. I casi di Grecia, Spagna,
Portogallo e Cipro
ci forniscono già quattro indizi che fanno più di una prova: attraverso il MES,
i creditori internazionali della Troika si sostituiscono di fatto nella
gestione della “politica economica” del paese debitore. Lo Stato che chiede un
prestito deve, infatti, sottostare ad una “rigorosa condizionalità” nell’ambito
di un programma di aggiustamento macroeconomico e di progressivo rientro del
suo debito pubblico.
Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite. Il Paese in difficoltà che ha bisogno del prestito deve in poche parole cedere la propria sovranità nella definizione delle scelte di politica economica. Imporre ad una nazione in difficoltà un’agenda economica per soddisfare le richieste di un’istituzione finanziaria, perlopiù deresponsabilizzata grazie all’immunità, è qualcosa che va aldilà di ogni regola democratica.
Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite. Il Paese in difficoltà che ha bisogno del prestito deve in poche parole cedere la propria sovranità nella definizione delle scelte di politica economica. Imporre ad una nazione in difficoltà un’agenda economica per soddisfare le richieste di un’istituzione finanziaria, perlopiù deresponsabilizzata grazie all’immunità, è qualcosa che va aldilà di ogni regola democratica.
Terzo. Il MES è infine
un’organizzazione che opera concretamente come tutti gli enti finanziari e
quindi eroga prestiti, rivolgendosi al mercato con l’obiettivo ultimo di un profitto.
I privati – tra cui rientrano finanziatori come Nomura,
Goldman Sachs, Merril
Lynch e praticamente tutti i principali istituti di investimento
mondiali – sono poi ammessi (punto 12 del Preambolo), in qualità di
osservatori, a partecipare alle riunioni che hanno ad oggetto la valutazione
della concessione del credito al paese richiedente, nonché la definizione delle
rigorose prescrizioni da imporre alla nazione “minacciata”.
Questa ingerenza si traduce nel serio rischio che a dettare le disposizioni di politica economica da applicare nel territorio dello Stato debitore siano coloro che concedono i soldi al fondo. La sovranità dei singoli Stati membri rischia quindi di essere sostituita da una governance economica privata in grado di imporsi facilmente sugli organi sovrani dei vari Paesi membri.
Questa ingerenza si traduce nel serio rischio che a dettare le disposizioni di politica economica da applicare nel territorio dello Stato debitore siano coloro che concedono i soldi al fondo. La sovranità dei singoli Stati membri rischia quindi di essere sostituita da una governance economica privata in grado di imporsi facilmente sugli organi sovrani dei vari Paesi membri.
Il
caso specifico della Grecia
Il paese che in modo tragicomico Mario Monti aveva definito il grande successo
dell’euro, la Grecia, dopo tre anni di Troika vive una situazione praticamente
post-bellica. Con il 28% di disoccupazione, uno Stato sociale che semplicemente
non esiste più e con la progressiva perdita di tutti i “gioielli di stato” a
causa delle privatizzazioni imposte tra le “rigorose condizionalità”, il Paese
culla della democrazia è oggi il prototipo di quello che potrebbe accadere a
tute le nazioni che si troveranno costrette a richiedere, per qualunque ragione
di volatilità dei mercati non legati ai fondamentali economici, l’intervento
del MES.
Alcuni dati forniti recentemente da Macropolis
ci possono dare il senso del dramma in corso in Grecia: il 34,6% della
popolazione vive a rischio povertà o esclusione sociale (dati del 2012), il
reddito dei proprietari di immobili si è contratto del 30% dall’inizio della
crisi, con circa un terzo che dichiara ormai di essere indietro con i pagamenti
e il 40% che non è in grado di adempiere a tutte le scadenze per quest’anno.
La Pubblic Power Corporation slaccia la corrente a
circa 30 mila case ed uffici al mese per bollette non pagate. La disoccupazione
è cresciuta del 160% complessivo e oggi 3,5 milioni di persone occupate devono
tenere in vita i 4,7 milioni di disoccupati o inattivi. Solo il 15% dei
disoccupati poi riceve assistenza finanziaria dallo Stato, non c’è, infine
alcun welfare poi per i lavoratori autonomi – o partite IVA – che rappresentano
il 25% della forza lavoro del Paese.
I trasferimenti sociali sono stati tagliati di oltre il 18%, i tagli alla sanità di oltre l’11,1% tra il 2009 e il 2011 e sono i maggiori mai registrati nella storia dall’Ocse. Almeno il debito pubblico sarà per lo meno ora sotto controllo? Non proprio. Al 169% del Pil, la Grecia resta un paese fallito.
I trasferimenti sociali sono stati tagliati di oltre il 18%, i tagli alla sanità di oltre l’11,1% tra il 2009 e il 2011 e sono i maggiori mai registrati nella storia dall’Ocse. Almeno il debito pubblico sarà per lo meno ora sotto controllo? Non proprio. Al 169% del Pil, la Grecia resta un paese fallito.
Ad esser onesti l’intervento del MES e della Troika un
beneficio l’ha prodotto : le banche creditizie del Nord Europa hanno potuto
recuperare i loro crediti altamente esposti nel paese, mentre al governo di
Atene sono rimaste le briciole dei vari miliardi di “aiuti” erogati dai
creditori internazionali.
Solo il 19% del denaro dei salvataggi è finito infatti
nelle casse greche, il 18% alla BCE, il 23% alle istituzioni finanziarie
greche, cioè ancora alla BCE della quale sono parte, e quindi i greci non
possono beneficiarne pienamente; mentre il 40% è andato ad assicurazioni,
banche e compagnie finanziarie al di fuori della Grecia. Praticamente il 58%
del salvataggio della Grecia non va alla Grecia.
Considerando poi i cosiddetti accordi di repurchase stipulati dalle istituzione
greche, il dato, calcola Zero Edge, supera anche il 70%. La minaccia della
mancata erogazione da parte della Troika della nuova tranche di “aiuti” ha
costretto e costringerà i Paesi – rientrano anche Cipro, Portogallo, Irlanda ed
in parte la Spagna in questa logica – a sottostare alle “rigorose
condizionalità”.
In un momento di crisi finanziaria, economica e sociale
come quella attuale, gli interventi di “salvataggio” possono essere all’ordine
del giorno: nel momento in cui si affida agli Stati economicamente più forti,
al di fuori del diritto dell’UE, la possibilità di poter dettare delle “misure
rigorose” – oltre che dell’agenda economica anche quella politica – il MES e il
suo braccio armato della Troika si sostituisce di fatto alle istituzioni
nazionali. Al di là della convenienza finanziaria questo è l’aspetto che deve
essere posto al centro del dibattito.
Non solo coloro che la stampa mainstream bolla come “eversivi populisti” hanno iniziato a
comprendere come il MES e la nuova governance
che si è voluta creare rappresenti una grave minaccia ai sistemi
democratici europei.
Incaricato dalla Confederazione europea dei sindacati di
esaminare la legittimità dei cosiddetti protocolli di intesa (MOU), il
professore di diritto europeo all’Università di Brema, Andreas
Fisher Lescano ha sostenuto come “ci
sono dei limiti a ciò che si può scrivere in un memorandum d’intesa. La Troika
ed i MOU non possono essere oltre la legge”.
Di fatto, i creditori internazionali della Troika – Commissione Europea, Banca
Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale – violano, secondo Fisher Lescano, la Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione Europea, un testo giuridico divenuto vincolante per gli
Stati membri nel 2009. Per questo, le misure di austerità sancite dai
memorandum d’intesa, soprattutto per quel che riguarda lavoro, sanità e
istruzione, potrebbero essere impugnate dai tribunali europei.
Di particolare interesse è poi la relazione redatta per
il Parlamento
Europeo, approvata il 12 Febbraio a larghissima maggioranza (27 sì, 7 no
dei conservatori e di qualche liberale, 2 no della Sinistra Unita) dalla Commissione
lavoro, del relatore spagnolo Alejandro Cercas,
che accusa senza mezzi termini come “Eurogruppo,
BCE e FMI
abbiano violato leggi e trattati e provocato negli ultimi quattro anni una
catastrofe sociale e politica senza precedenti in Europa”.
Ancora più importante è la relazione “Indagine sul
ruolo e le attività della Troika (BCE, Commissione e FMI) relativamente ai
Paesi dell’area dell’euro oggetto di programmi” con relatori Othmar Karas e Liem
Hoang Ngoc, approvata dalla Commissione economia e nella quale si arriva
addirittura a chiedere la fine dell’esperienza della Troika, tra l’altro per la
mancanza dii trasparenza democratica interna e il conflitto d’interessi di
Banca Centrale e Commissione.
Il Parlamento in seduta plenaria voterà questa relazione.
Ma, ampiamente
compromesso e pienamente responsabile del fallimento della gestione della crisi
della zona euro, il suo gesto sarà una tardiva presa di posizione che non potrà
cambiare il giudizio complessivo sul suo operato. Al contrario, se nelle
prossime elezioni dovessero prevalere le cosiddette forze euro-scettiche, quella
stessa relazione potrà rappresentare la base per la prima profonda scossa della
struttura economica europea.
Quali
difese sono rimaste oggi agli Stati?
Viene da chiedersi come mai nessuno si sia opposto a
uno strumento che quando ha utilizzato ha avuto solo effetti devastanti. Per la
verità nel 2012 un deputato del parlamento irlandese, Thomas
Pringle, ha contestato presso la Corte di Giustizia Europea il procedimento
nazionale di ratifica del MES.
Secondo Pringle l’utilizzo della procedura di revisione
semplificata sarebbe stato illegittimo poiché non era applicabile
all’introduzione di un meccanismo che andava pesantemente ad incidere sull’intera
politica economica e monetaria dell’Unione. In secondo luogo, il deputato si
chiedeva se il MES per le sue gravi implicazioni sociali non fosse in contrasto
con quei valori di crescita economica sostenibile e di solidarietà che stanno a
fondamento dell’Unione Europea.
Ciò che in sostanza si constatava era la conformità del
MES ai trattati europei, ed in particolare al Trattato di Lisbona, che
aveva inglobato al suo interno anche la Carta dei diritti di Nizza. Come è noto la
Corte ha rigettato il ricorso, ma è altrettanto noto che a livello europeo
numerosi sono stati nella dottrina i commenti critici, tanto che è molto
probabile in futuro sorgano ulteriori controversie.
In molti hanno iniziato a sottolineare come il MES
abbia prodotto un sostanziale mutamento della governance economica europea ormai affidata ad una tecnocrazia che
ha depotenziato sia la sovranità degli Stati, sia le istituzioni democratiche
europee.
Per salvare una moneta si sono indeboliti i Parlamenti
nazionali e il Parlamento Europeo. La sovranità finanziaria di bilancio non
spetta né agli Stati nazionali e neppure all’Unione, ma ad un’oligarchia
tecnocratica transnazionale priva di qualsiasi legittimità democratica ed
immune da qualsiasi controllo. Per salvare un mostro, una moneta nata male e
proseguita peggio, stiamo facendo a pezzi le nostre Costituzioni e ora perfino
quei diritti che l’Unione Europea con la Carta dei Diritti di Nizza intendeva
tutelare.
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