Sono passati oltre 30 anni da quando l’allora
Presidente degli Stati Uniti, Nixon, dichiarò ufficialmente guerra al cancro.
Da allora è stato speso molto denaro nelle terapie oncologiche tradizionali, ma
di tumore si continua a morire: la mortalità, a 5 anni dalla diagnosi, negli
Stati Uniti è addirittura aumentata.
Uno studio pubblicato nel 1975 sulla rivista medica
Lancet destò scalpore. Dei ricercatori inglesi effettuarono uno studio
prospettico randomizzato su 188 pazienti con cancro inoperabile ai bronchi e
scoprirono che la vita media di quelli trattati con chemioterapia completa fu
di tre volte più breve rispetto a quelli che non ricevettero alcun trattamento.
Interessante è a questo proposito la consultazione del
National Cancer Institute (NCI) che utilizza la riduzione della massa tumorale
e la sopravvivenza media a 5 anni dalla diagnosi come indici di efficacia delle
terapie effettuate; ma in alcuni casi la riduzione della massa tumorale non
appare essere decisiva per la sopravvivenza del paziente.
In alcune patologie tumorali sono possibili interventi chirurgici
di asportazione delle cellule cancerogene (cancro renale, cancro del polmone,
cancro alla vescica, cancro dell’endometrio); in alcuni casi una remissione
della malattia non assicura al paziente di poter restare in vita oltre i 2-3
anni dalla diagnosi; altre volte la chemioterapia non aumenta la sopravvivenza
come nel caso del melanoma; il cancro renale, per cui la terapia radiante viene
considerata un intervento “palliativo” e la leucemia mieloide acuta.
I pazienti con carcinoma del pancreas e con cancro del
polmone a cellule non piccole, in caso siano in possesso dei requisiti possono
essere candidati per studi sperimentali
su nuove forme di trattamento poiché chemioterapia, radioterapia e
chirurgia hanno dimostrato scarsa efficacia, seppure vengano convenzionalmente
usati.
Per il cancro al cervello viene fatto un tipo di
discorso diverso, per l’astrocitoma anaplastico e il glioblastoma i pazienti
possono essere candidati per studi clinici sperimentali, mentre per
l’astrocitoma diffuso esistono controversie sul trattamento standard composto
dalla chirurgia più radioterapia in quanto alcuni medici preferiscono evitare
la radioterapia soprattutto in pazienti con meno di 35 anni.
Non sono stati riscontrati miglioramenti della
sopravvivenza media associando chemioterapia sistemica in molti dei carcinomi
sopra citati, effetti tardivi dei trattamenti possono essere sterilità
permanente, rischio di un secondo cancro (riscontrato dopo radioterapie per
l’80% dei pazienti questi tumori compaiono in zone precedentemente irradiate),
e disfunzioni cardiache.
Su “Principi di chemioterapia” materiale di studio del
corso di oncologia medica coordinato dal professor Roberto Mazzanti
dell’Università di Firenze si legge: “ Un
agente antitumorale raramente potrà, da solo, eliminare tutte le cellule
cancerose senza dare effetti tossici intollerabili per il paziente. La
chemioterapia antitumorale è infatti fortemente limitata dalla sua tossicità”.
Gli effetti tossici dei diversi chemioterapici sono
facilmente elencabili:
-
Gli agenti alchilanti danneggiano ogni
cellula in qualsiasi fase essa si trovi;
-
La mecloretamina alla base delle mostarde
azotate è un derivato di un gas vescicante usato a scopi bellici;
-
La tossicità dose limitante del nitrosuree
è quella del midollo: è tardiva e cumulativa, ma da non dimenticare anche la
tossicità polmonare, renale ed epatica;
-
La procarbazina ha numerosi effetti tossici:
neurologici, ematologici, gastroenterologici, alopecia, azospermia, è un
potente cancerogeno che induce leucemie acute a breve e a lungo termine;
-
Gli antimetaboliti portano di frequente la
mucosite, diarrea, sanguinamento e addirittura la perforazione, è tossico per
fegato e reni.
C’è da chiedersi se queste informazioni vengano fornite
dai medici ai malati di cancro quando questi devono prendere una decisione
sulla strada da intraprendere. La pratica del cosiddetto consenso informato
informa veramente la persona tanto da renderla capace di fare una scelta?
Negli ultimi anni la ricerca sembra essersi aperta alla
sperimentazione di farmaci cosiddetti biologici (ricavati cioè da risorse e
sostanze che il corpo stesso produce) come il neurormone somatostatina, la
melatonina, i retinoidi, con possibili effetti avversi estremamente meno
tossici dei chemioterapici e radioterapia.
Tali farmaci, che molti conoscono per essere associati
alla Terapia Di Bella e quindi sminuiti, stanno suscitando invece gli
entusiasmi di quegli oncologi di fama internazionale che sono stati proprio i
maggiori detrattori di Di Bella stesso.
Sono in corso numerosi trattamenti clinici per trovare
trattamenti più efficaci e i pazienti, se possibile, dovrebbero esservi
inclusi. Risulta auspicabile trovare strade diverse che possano garantire
percentuali maggiori di sopravvivenza senza gli effetti avversi tossici che le
terapie convenzionali hanno e che influiscono non poco sulla qualità della
vita.
In tanti si augurano che lasciati da parte pregiudizi,
interessi e potere, si possa veramente imboccare la strada di una prioritaria
tutela della vita umana.
fonte: AAM TERRA NUOVA Salute è Trimestrale di Medicina Naturale.
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