Sono milioni le vittime della Repubblica Democratica del Congo legate
allo sfruttamento indiscriminato del coltan (abbreviazione di columbo-tantalite, una miscela complessa di due minerali della
classe degli ossidi, la columbite e la tantalite, diventata preziosissima
nell’era dell’Hi Tech.
Il minerale, peraltro leggermente radioattivo, è,
infatti, utilizzato per la realizzazione delle batterie di dispositivi
elettronici, come smartphone, tablet, navigatori satellitari, computer ecc… La
diffusione esponenziale di questi prodotti e delle nuove tecnologie ha elevato
a dismisura lo sfruttamento di queste risorse minerarie, con conseguenze
devastanti sul piano ambientale ed umanitario per i paesi che ne sono ricchi.
Tra gli stati entrati nel mirino di interessi economici
e geopolitici legati al valore in costante aumento del coltan, a tutto vantaggio di Stati
Uniti, Europa e paesi asiatici in primis la Cina, c’è appunto il Congo, che
‘vanta’ già una storia plurisecolare di sfruttamento alle spalle.
Si stima che nel sottosuolo della Repubblica
Democratica del Congo si trovi fino all’80% delle risorse mondiali di coltan,
il minerale “insanguinato” perché estratto in condizioni disumane, senza il
rispetto dei diritti umani ed in aree di conflitto alimentato dai proventi
delle estrazioni stesse.
Proprio questa enorme disponibilità di risorse in Congo
ha generato equilibri economici e politici controllati dalle potenze mondiali,
con conseguenze nefaste per le popolazioni locali, già colpite da elevati tassi
di povertà.
Proprio miseria e disoccupazione portano bambini, donne
e uomini a lavorare nelle miniere in condizioni di sfruttamento e
schiavizzazione inaccettabili, che proliferano grazie anche al fatto che le
miniere di coltan
non legali, quindi non controllate dal Governo congolese, sono
tantissime.
I congolesi lavorano in condizioni pericolose e con
mezzi rudimentali, rischiando ogni giorno la vita in cambio di pochissimi
soldi, sotto gli occhi delle grandi multinazionali e della politica.
Le paghe per una giornata massacrante di lavoro che
tocca le 15 ore possono arrivare a 10 centesimi al giorno. Prezzi che vanno si
raffrontati con il valore della moneta locale, ma anche con il valore di
vendita sul mercato del coltan, che è decisamente più alto: circa 600
dollari al chilogrammo.
Molti bambini, sottratti alle loro famiglie, vengono
costretti a lavorare anche gratis. I piccoli corpicini dei bambini sono indispensabili
per raggiungere i punti più angusti e inaccessibili sottoterra per estrarre il coltan.
E lì troppo spesso perdono la vita o restano invalidi, senza assistenza medica
adeguata. I punti sanitari per la gestione dell’emergenza sul posto sono rari.
Come se non bastasse, lo sfruttamento di queste risorse
da parte dei paesi ricchi ha innescato spirali di violenza che gravano sulle
popolazioni congolesi, mietendo milioni di vittime.
Lo sfruttamento indiscriminato di queste risorse da
parte dei paesi ricchi ha innescato spirali di violenza che gravano sulle
popolazioni congolesi, mietendo milioni di vittime. Lo sfruttamento
indiscriminato di queste risorse da parte delle compagnie economiche
internazionali, ha favorito l’inserimento di gruppi armati in loco, che si sono
insinuati nel controllo delle estrazioni di coltan, in perenne lotta tra loro
per contendersi il controllo delle varie miniere.
I gruppi armati che controllano le estrazioni si
arricchiscono, quindi, dai traffici di coltan e hanno interesse a tenere accesi in Congo
scontri armati e violenza, controllando e assoggettando le popolazioni ed il
traffico di risorse minerarie.
Alcune di queste miniere, vista la loro grandezza e
l’elevato impatto ambientale, sono state individuate. Ma molte altre sono
nascoste, in punti difficilmente raggiungibili anche a piedi. I minerali
vengono prelevati direttamente con aerei di trasporto.
Il che fa presupporre l’esistenza di una certa
collusione dei trafficanti di coltan con i militari dell’esercito congolese e addirittura
con alcuni militari delle Nazioni Unite.
Condizioni disumane colpiscono anche i portatori di
colta, ossia persone impiegate per il trasporto del minerale dalla miniera al
punto di carico. Questi lavoratori percepiscono forse qualcosa in più rispetto
a chi estrae, ma in compenso devono camminare per lunghissimi tratti a piedi
con carichi sulle spalle di una cinquantina di chili.
Molti di loro non arrivano neppure a destinazione, e
muoiono per stenti o per incidenti lungo il percorso.
L’acquisto del coltan da parte delle aziende produttrici di
dispositivi informatici avviene in punti di raccolta nelle città, dove si
incontrano mediatori collegati con chi controlla le miniere di estrazione ed
inviati delle industrie produttrici.
Il problema legato allo sfruttamento del coltan
insanguinato è ormai conosciuto da anni, ma è ben lungi dall’essere stato
ancora debellato. Servirebbe, infatti, un protocollo internazionale che
permettesse di certificare la provenienza del coltan, e vietasse l’acquisto di
quello estratto senza il rispetto dei diritti umani ed in mezzo alla violenza.
Nel 2010 gli Stati Uniti hanno vietato le industrie
americane ad acquistare coltan prodotto senza il rispetto dei diritti
umani. Ed anche l’Europa ha imposto limiti all’acquisto di
questo minerale insanguinato estratto dal Congo.
La Cina merita un capitolo a parte. Le aziende cinesi
sembrano, infatti, non avere limiti all’acquisto di coltan in Congo, anche da miniere
illegali, e oggi la stragrande maggioranza della “sabbia nera” congolese
finisce in oriente. La sensibilizzazione verso il tema, forse, sta crescendo.
Alcune imprese informatiche, ad esempio, stanno
promuovendo un uso consapevole delle tecnologie, come il riuso di hardware e
materiali e l’uso di sistemi green, quindi a basso impatto ambientale.
Per questo è necessario informare e sensibilizzare
l’opinione pubblica: perché una strage che si consuma da anni nel silenzio e
nella connivenza generale abbia fine.
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