domenica 5 novembre 2017

LA VERA STORIA DELL’UNITA’ D’ITALIA Parte Prima

Nel 1815, quando i Borboni ritornarono a Napoli, la popolazione era di 5.060.000. nel 1836 di 6.081.993, nel 1846 la popolazione arrivò a 8.423.316 e dieci anni dopo a 9.117.000.
Questo vorticoso aumento della popolazione ha nome e cognome: benessere e progresso civile e sociale. Durante 127 anni di governo i Borboni diedero prosperità a tutto il popolo e da 3 milioni, del 1734, si arrivò ai 9 milioni del 1856.

Cos’era successo? Come fu possibile?
Nel Meridione non si costruivano strade fin dal tempo dei Romani e i viceré spagnoli impoverirono la popolazione esigendo tasse e balzelli, i baroni inselvatichirono la vita civile, le campagne erano abbandonate, i boschi avevano invaso le terre fertili di buona parte del Regno. I pirati razziavano le coste, il commercio non esisteva quasi più e, non essendoci polizia, nessuno rispettava le leggi e solo gli innominati di manzoniana memoria erano i veri padroni della società.

I Borboni riuscirono dove gli altri fallirono, imbrigliarono e resero quasi innocui i baroni, costruirono strade, ricostruirono l’esercito e le amministrazioni locali cui diedero l’antica autonomia, diedero impulso all’industria, all’agricoltura, alla pesca, al turismo.

Da ultimo, tra gli Stati, divenne il primo d’Italia e tra i primi del mondo. 

Le ferrovie, inventate nel 1820, fecero la loro prima apparizione a Napoli (1839) con il tratto che congiungeva la capitale a Portici e poi fu concessa al Bayard di continuarla fino a Castellammare.

A spese del tesoro nel 1842 cominciò quella per Capua e poi l’altra per Nola, Sarno e Sansevero. Nel 1837 arrivò il gas e nel 1852 il telegrafo elettrico. Col benessere aumentava la popolazione in tutto il regno e per questa stessa ragione anche le entrate pubbliche che, di fatto, quintuplicarono.

Le strade erano sicure, non più masnadieri per terra né pirati per mare, eliminate le leggi feudali fecero ordine sui territori e concessero, primi al mondo, la terra a chi la lavorava; furono così estirpate le boscaglie per far posto a frutteti e vigneti; furono prosciugate le paludi in tutto il regno e regalate ai contadini; furono arginati fiumi e torrenti.

Si mise ordine all’amministrazione pubblica.
La scuola pubblica fu istituzionalizzata come primaria e quella religiosa a far da supporto. Laicismo e religiosità si confondevano, dando al regno nuovo impulso culturale. Fiorirono pittori, architetti, scultori, musicisti e grande sviluppo ebbe l’artigianato.

Il Teatro San Carlo fu costruito in soli 270 giorni e la stessa corrente culturale fece nascere l’Officina dei Papiri, il Museo Archeologico, l’Orto Botanico, l’Osservatorio Astronomico, la Biblioteca Nazionale e, primo al mondo, l’Osservatorio Sismologico Vesuviano.


Osservatorio Sismologico Vesuviano
Lo sviluppo industriale fu travolgente e in venti anni raggiunse primati impensabili sia nei settori del tessile che in quello metalmeccanico con 
1.600.000 addetti contro i 1.100.000 del resto d’Italia. Nacquero industrie tecnologicamente avanzate, dando vita a ferrovie e battelli a vapore e costruendo i primi ponti in ferro in Italia, opere d’alta ingegneria in parte ancora visibili sul fiume Calore e sul Garigliano.

Le navi mercantili del Regno delle Due Sicilie solcavano i mari di tutto il mondo e la sua flotta da guerra, terza in Europa dietro quella inglese e francese. Le compagnie di navigazione pullulavano e così pure i cantieri navali, tutti forniti di manodopera di prim’ordine; i suoi maestri d’ascia e così i velai ed i carpentieri erano richiesti in tutto il mondo.

Le industrie tessili, navali, metalmeccaniche pullulavano in tutto il regno: quella di Pietrarsa, con mille operai e settemila d’indotto, ne era la punta di diamante. Gli operai lavoravano otto ore al giorno e guadagnavano abbastanza per sostentare le loro famiglie e primi in Italia usufruirono di una pensione statale in quanto fu istituito un sistema pensionistico (con ritenuta del 2% sugli stipendi).


Nel Regno la disoccupazione era praticamente inesistente e cosi l'emigrazione.
            
Oltre al 1.600.000 addetti nell’industria, vi erano 200.000 commercianti e tre milioni e mezzo di contadini. Il denaro circolava e le banche sovvenzionavano le imprese con mutui a basso interesse. Gli sportelli bancari erano diffusi in ogni paese e villaggio e prime al mondo. Le banche del Regno furono autorizzate dal Governo ed emettere i polizzini sulle fedi di credito, ossia i primi assegni bancari della storia economica moderna.

Il turismo non era da meno delle altre industrie: la Sicilia, la Campania, il basso Lazio erano ricchissimi di reperti archeologici greci e romani che, affiancati da musei e biblioteche, diedero un impulso notevolissimo alla costruzione di alberghi e pensioni in quanto i viaggiatori aumentavano anno dopo anno. 

Carlo III di Borbone
Sorsero così le prime agenzie turistiche italiane e Carlo III di Borbone intuendo l’importanza di Pompei ed Ercolano, profondendo mezzi e denaro fondò l’Accademia di Ercolano, dando così, di fatto, inizio agli scavi. 
Oggi Pompei è una delle città più visitate del mondo, con un milione di presenze all’anno.
Oltre a bonificare le paludi, per dare lavoro ad operai e contadini, istituirono collegi militari come la Nunziatella, Accademie Culturali, scuole di Arti e Mestieri, Monti di Pegno e Frumentari.     

Le Università sfornavano fior di professionisti e scienziati e il Regno poteva vantare il più basso tasso di mortalità infantile in Italia. Erano sparsi sul territorio ospedali, ospizi e 9.000 medici.
Lo stato godeva di buona salute, il deficit era quasi inesistente ed il suo patrimonio aureo era invidiato da tutte le nazioni. Avendo buona amministrazione e finanze oculate, la Borsa di Parigi, allora la più grande del mondo, quotava la Rendita dello Stato napoletano al 120 per cento, ossia la più alta di tutti i paesi.

Nella conferenza internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato al Regno delle Due Sicilie il premio di terzo paese del mondo, dopo l’Inghilterra e la Francia, per sviluppo industriale. L’industria trainante, controllata con oculatezza dallo Stato e assistita dal sistema bancario non centralizzato, procurò dapprima i beni di consumo che servivano alla comunità per poi cominciare ad esportarli.

L’industria di trasformazione dei prodotti agricoli fu fondamentale per lo sviluppo dell’agricoltura come quella tessile per la pastorizia. Centinaia di frantoi macinavano le olive, centinaia di mulini trasformavano in farina il grano del Regno, migliaia di forni sparsi per le città ed i villaggi lavoravano il pane, decine di pastifici producevano pasta e conserve.

TUTTO QUESTO E’ OGGI, AI PIU’, IGNOTO OLTRE CHE AL NORD DELL’ITALIA, ANCHE NEL MEZZOGIORNO STESSO.

Il 13 Febbraio 1861 cadeva la fortezza di Gaeta: tre mesi di resistenza; tre mesi di massacri perpetrati dal generale Cialdini, 160 mila bombe rasero al suolo la città tirrenica e fiaccarono per sempre la sua vitalità.

Camillo Benso Conte di Cavour
Generale Enrico Cialdini
Camillo Benso di Cavour diede al Generale Cialdini l’ordine di distruggere Gaeta in quanto stava ritardando i tempi per il suo disegno. Il Primo Ministro piemontese sapeva che il Piemonte era alla bancarotta, come sapeva che la sifilide lo stava divorando.
Prima di morire voleva vedere attuato il suo capolavoro: la cosiddetta Unità d’Italia.


Il 13 Febbraio 1861 è una data che ogni Meridionale dovrebbe memorizzare perché da allora iniziò una resistenza senza quartiere contro gli invasori savoiardi che al Sud nessuno voleva. Nacque in quel giorno la questione meridionale.

Il Sud prospero venne saccheggiato delle sue ricchezze e delle sue leggi; venne immolato alla causa nazionale; venne immolato alla massoneria che da Londra dirigeva e stabiliva il nuovo assetto mondiale. Il Regno delle Due Sicilie, unico stato libero ed indipendente da influenze straniere, fu dato in pasto agli affamati piemontesi.

Mr. Albert Pike
Nel 1861 il Piemonte, per conto di Mr. Albert Pike, Gran Maestro Venerabile della massoneria di Londra, iniziava il più grande genocidio e prima pulizia etnica della storia del nostro paese. A metà agosto i giornali di regime stampavano con enfasi le vittorie militari dell’esercito sabaudo e fecero passare per una grande battaglia la scaramuccia di Castelfidardo, mentre calavano una cortina di silenzio sugli eccidi perpetrati dai generali piemontesi contro cittadini inermi.

Cannoni contro città indifese; fuoco appiccato alle case, ai campi; baionette conficcate nelle carni dei giovani, dei preti, dei contadini; donne incinte violentate, sgozzate; bambini trucidati; vecchi falciati al suolo.

Ruberie, chiese invase, saccheggiati, i loro tesori rubati, quadri, statue trafugate, monumenti abbattuti, libri bruciati, scuole chiuse per decreto.
La fucilazione di massa divenne pratica quotidiana. In dieci anni dal 1861 al 1871 circa novecentomila cittadini furono uccisi su una popolazione complessiva di 9.117.050. Mai nessuna statistica fu data dai governi piemontesi. Nessuno doveva sapere.

Alcuni giornali stranieri pubblicarono delle cifre terrificanti: dal Settembre del 1860 al Agosto del 1861 vi furono 8.968 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 64 sacerdoti, 22 frati, 60 ragazzi e 50 donne uccisi, 13.529 arrestati, 918 case incendiate e 6 paesi dati a fuoco, 3.000 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 1.428 comuni sollevati.

Dati sottostimati almeno di cento volte; le notizie il ministero della guerra le dava col contagocce, in quanto all’estero doveva apparire tutto tranquillo e mai giornalista fu ammesso a constatare ciò che stava accadendo nelle province meridionali. 

Il movimento rivoluzionario antipiemontese, chiamato brigantaggio, in realtà fu un grandissimo movimento di resistenza, per la difesa della loro patria, il loro Re e la Chiesa Cattolica, da un orda massonica che voleva colonizzare il Meridione.

Le cifre che pubblicavano i giornali stranieri erano sottostimate; il governo piemontese aveva dato ordine di mettere a ferro e fuoco il Regno delle Due Sicilie e dette carta bianca ai vari comandanti militari.

L’esercito piemontese fu ammaestrato e addestrato agli eccidi di popolazioni inermi, a rappresaglie indiscriminate, al saccheggio, alla fucilazione sommaria dei contadini colti con le armi in mano o solamente sospettati, arresti di partigiani o solo sospettati di esserlo, fucilazioni, anche di parenti di essi, stato d’assedio di interi paesi.

Alcuni comandanti piemontesi emanarono, fra il 1861 ed il 1862, bandi che i nazisti mai avrebbero sognato di applicare a popolazioni di origine germanica. Naturalmente i piemontesi non erano italiani e si sentivano in diritto, contro tutte le convenzioni e il diritto internazionale, di fare quel che volevano, di poter fucilare chiunque trasgrediva i molteplici divieti.

Generali, colonnelli, maggiori e ufficiali che parteciparono a quelle repressioni dovevano sentirsi, in cuor loro, dei codardi.
Diciamo semplicemente che erano dei criminali di guerra tanto è vero che ancora oggi, dopo 150 anni, nelle scuole non s’insegna la vera storia del Risorgimento piemontese che per il Sud, in realtà, fu vera colonizzazione e sterminio di massa.

Generale Solaroli
Vittorio Emanuele II
L’aiutante di campo di Vittorio Emanuele II, Generale Solaroli, definiva i contadini la più grande canaglia dell’ultimo ceto. I contadini dovevano essere tutti fucilati, senza far sapere niente alle autorità. Imprigionarli non era conveniente perché, una volta in galera, lo Stato doveva provvedere al loro sostentamento.


Il più determinato e feroce fu il criminale di guerra Generale Cialdini, detto Berluski, il quale dopo aver massacrato Gaeta, telegrafò al governatore del Molise: “Faccia pubblicare un bando che fucilo tutti i paesani che piglio armati e do quartiere solo alla truppa”.

Generale Pinelli
Generale Fanti
Il Generale Fanti emanò un bando che sanciva la competenza dei tribunali militari straordinari per i colpevoli di brigantaggio.
Il Generale Pinelli si superò, estese la pena di morte a chi avesse: “… a coloro che con parole od atti insultassero lo stemma dei Savoia, il ritratto del Re o la bandiera nazionale”.
Il Generale Della Rocca, altro campione ed eroe piemontese, impartì l’ordine che: “non si perdesse tempo a far prigionieri, dato che i governatori avevano fatto imprigionare troppi contadini”.

Il Colonnello Pietro Fumel si vantava di aver fatto fucilare “briganti e non briganti” e sottoponeva a torture e sevizie inaudite i prigionieri.

Generale Della Rocca
Colonnello Fumel
Il Nord non lascerà ai Meridionali nemmeno gli occhi per piangere.
I Borboni avevano conservato il loro regno integro; i piemontesi, che avevano invaso un Regno senza dichiarazione di guerra, trovarono oro e denaro, saccheggiarono tutto quello che c’era da saccheggiare, massacrarono intere popolazioni, misero a ferro e a fuoco il Sud per dieci anni, lo impoverirono, trasferendo tutte le sue ricchezze nel Piemonte.


Dal 1860 al 1870 i piemontesi riuscirono a depredare tutto quello che c’era da prendere: svuotarono le casse dei comuni, quelle delle banche, quelle dei poveri contadini, quelle delle comunità religiose, dei conventi; saccheggiarono le chiese e le campagne; smontarono i macchinari delle fabbriche per montarli al nord; rubarono opere d’arte, quadri, statue.

Nelle casse piemontesi finirono circa seicento milioni ricavati dalla vendita dei beni ecclesiastici e altrettanti dalla vendita dei beni demaniali che i Borboni, da sempre, riservavano ai contadini ed ai pastori.

Le scuole pubbliche e, soprattutto, la dignità e la libertà furono tolte ai Meridionali i quali, coraggiosamente, preferirono andare a morire partigiani sui monti dell’Appennino, piuttosto che veder calpestato il suolo della patria napoletana dalle “orde di assassini e ladroni del nord”.

Tutto il Sud fu razziato e spogliato delle sue fabbriche e delle sue ricchezze: a guerra terminata, nel 1871, le più oneste e migliori menti della classe imprenditoriale, quel poco che restava di media borghesia oltre a una miriade di contadini e di operai del Sud, che fino al 1860 non avevano mai conosciuto l’emigrazione, furono costretti ad arricchire gli stati del continente americano.

Fino al 1860, il Regno delle Due Sicilie, ricco di pace, di memorie, di costumi, di commercio, di prosperità, di arti, di industrie, di pesca, di agricoltura, di artigianato, era l’invidia delle genti: scuole gratis, teatri, opere d’ingegneria, meravigliosi musei, strade ferrate, gas, opifici, opere di carità, bacini, cantieri navali, arsenali davano lavoro a tutto il popolo.

Era il primo stato Sociale, il primo stato Illuminato del mondo.
                           
Doveva essere abbattuto. La massoneria non perdona chi vive in modo dignitoso e libero. La massoneria ha bisogno di servi, di schiavi e i liberali erano i loro lacchè.
L’ipocrisia ed il servilismo di questi uomini aveva in suo fondamento: l’arricchimento personale. Questi, della Patria, se ne infischiavano come se ne fregavano se centinaia di migliaia di loro paesani venivano passati per le armi, anzi erano proprio loro a darli in pasto ai militari perché non fossero d’ostacolo alle loro ruberie. La stampa di regime faceva il resto.
Tutto ciò che era o puzzava di Piemonte veniva glorificato e tutto ciò che era borbonico veniva additato al pubblico disprezzo.

Giuseppe Massari
Giuseppe Massari, per esempio, scriveva al Cavour che le truppe piemontesi negli Abruzzi e nel Molise vennero accolte come “truppe liberatrici e la gloria della folla era indescrivibile e grande l’entusiasmo popolare”.

Questo Sig. Massari, che poi fece parte della commissione d’inchiesta sul brigantaggio del Sud, voleva apparire  agli occhi del Primo Ministro come colui il quale aveva fatto il miracolo di far diventare quelle popolazioni tutte filo piemontesi. Sapeva benissimo che la realtà era ben diversa: sia gli abruzzesi che i molisani accolsero i piemontesi a fucilate.


Una volta al potere quest’accozzaglia liberal-massonica inasprì fino all’inverosimile gli animi dei contadini che reclamavano giustizia e ricevevano torti; reclamavano i terreni demaniali e venivano scacciati con la forza da quelle terre; chiedevano pane e gli si dava morte.

A far traboccare la goccia dal vaso fu il bando che rivedeva la presentazione dei soldati di leva e degli sbandati entro il 31 Gennaio 1861. Ovunque fosse affisso si verificarono disordini ed incendi di municipi; iniziò così la caccia ai giovani e agli sbandati con rastrellamenti scientifici. Tutti i renitenti venivano fucilati sul posto.

Cominciò così la resistenza armata contro gli invasori del Regno delle Due Sicilie. Gli ufficiali piemontesi non badavano alla forma; la fucilazione divenne una cosa ordinaria e cominciò così l’epopea della classe contadina, gli eccidi di intere popolazioni, gli incendi dei raccolti e delle città ritenute covi dei briganti.

I militari piemontesi, i cosiddetti azzurri sabaudi, in nove mesi trucidarono 8.968 contadini, senza pietà; eseguivano ordini criminali ed i superiori davano loro facoltà di razzia e di saccheggio.

Cominciarono ad incendiare paesi interi per incutere timore, paura e terrore. In poco tempo tutto il Sud insorse contro i nuovi invasori e pagò un prezzo altissimo in morti. Scurcula, Carbonara, Avigliano, Gioia del Colle, Pontegandolfo, Casalduni, Venosa, Barile, Monteverde, S. Marco, Rignano, Spinelli, Montefalcione, Auletta ecc… furono bruciate ed i loro abitanti trucidati.

Antonio Gramsci, nato ad Ares in Sardegna ma originario di Gaeta, parlando della questione meridionale ebbe a dire:                                  
  “… Lo Stato Italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”.



Il Piemonte stava massacrando un popolo, stava distruggendo l’economia del Meridione, stava imponendo con la forza il nuovo ordine voluto dalla massoneria inglese.

La legge borbonica sulla leva era mite ed accomodante; la Sicilia ne era esente. La legge di Ferdinando II del 1834 esentava i figli unici, i figli di vedovi, gli ammogliati, i sostegni di famiglia, i diaconi, i seminaristi; una famiglia con tanti figli ne dava solo uno per fare il soldato e a domanda si poteva essere esenti per grazia sovrana.

La legge piemontese distruggeva le famiglie e la loro economia. Tutti i figli maschi erano obbligati a prestare servizio militare, quasi tutti al nord a prendere istruzioni per poi andare a sparare contro i loro fratelli nel Sud.
Gli animi erano colmi d’ira, bastava un nonnulla per far scoppiare la rabbia che ognuno serbava in corpo. I contadini volevano restaurare l’antico Regno delle Due Sicilie, i liberal-massoni volevano i Savoia che garantivano loro potere e denaro.

L’ORDA MASSONICA
In un mondo di topi nasce un popolo di roditori. Il Piemonte, servo dei voleri della massoneria, indirizza da sempre la politica italiana. Nel 1861 il Piemonte faceva capo alla Gran Massoneria di Mister Albert Pike ed oggi alla Trilateral Commission.

Lord Palmerston
Il 12 Marzo 1849 sul Globe, quotidiano inglese, portavoce dell’alto iniziato Palmerston, Ministro della Regina Vittoria, apparve un articolo che era praticamente un vero libro profetico e possiamo dire, senza enfasi, che era stato preparato segretamente nel Sacro Tempio della massoneria londinese:

“… E’ da ritenere che gli accadimenti dell’anno scorso non siano stati che la prima scena di un dramma fecondo di risultati più vasti e più pacifici. L’edificio innalzato dal Congresso di Vienna era così arbitrario e artificioso che ciascun uomo di stato liberale vedeva chiaramente che non avrebbe sopportato il primo urto dell’Europa. L’intero sistema stabilito dal Congresso di Vienna stava dissolvendosi e Lord Palmerston ha agito saggiamente allorché ha rifiutato il proprio concorso a opporre una diga all’onda dilagante. Il piano che egli ha concepito è quello di una nuova configurazione dell’Europa attraverso la costituzione di un forte regno tedesco che possa costituire un muro di separazione fra Francia e Russia, la creazione di un regno polacco-magiaro destinato a completare l’opera contro il gigante del nord, infine un reame d’Italia superiore guidato dalla casa Savoia”.

John Amos Comenius
Il disegno era chiaro, doveva essere attuata la profezia di Comenius espressa in Lux in Tenebris, secondo la quale sarebbe dovuta sorgere dalle tenebre come fonte di luce una Super-Chiesa che integrasse ogni religione attraverso i Concistori nazionali, le Chiese Nazionali, onde giungere in nome di un umanesimo unitivo ed a carattere filantropico e tollerante, a proclamare l’uguaglianza e la pari dignità di tutte le religioni.

Questo progetto si scontrava con un ostacolo formidabile: la chiesa cattolica con la sua gerarchia, la cattolicissima casa Asburgo d’Austria, la Santa Russia degli zar ed il Regno delle Due Sicilie, primo stato al mondo, quest’ultimo, che aveva saputo integrare il dogma cattolico con il verbo del Vangelo; tradotto in pratica da leggi che non disdegnavano le novità della rivoluzione francese o quelle comuniste del Campanella e di Marx.

Questo nuovo ordine doveva portare sconvolgimenti politici e morali d’inaudita violenza.
In Italia il compito di capovolgere detto ordine, come abbiamo visto nell’articolo del Globe, fu assegnato al Piemonte e a casa Savoia, votata alla Gran Consorteria. Gli altri sovrani erano tutti devotissimi alla Chiesa di Roma. Lo Stato più retrivo d’Italia avrebbe dovuto dare luce allo stivale! Al suo servizio la massoneria londinese mise uomini, denaro e mezzi; soprattutto denaro ed oro. Casa Savoia doveva eseguire spietatamente gli ordini di Londra.

Lord Gladstone
Lord Mintho
Londra mandò Lord Gladstone a Napoli e Lord Mintho ed altri emissari nelle varie provincie italiane a preparare la rivoluzione liberale agli ordini di Giuseppe Mazzini, capo della Carboneria Italiana, il cui scopo finale, secondo il suo fondatore genovese Antonio Maghella, era “… quello di Voltaire e della rivoluzione francese: il completo annientamento del cattolicesimo ed infine del cristianesimo”.

Il Regno delle Due Sicilie fu conquistato militarmente e senza dichiarazione di guerra.

Era indipendente fin dal 1734 ed era guidato da un re italiano che parlava napoletano. Il suo popolo era ingegnoso, pacifico, prospero; la sua industria dava lavoro a due milioni di persone, l’agricoltura era fiorentissima, la flotta contava 9.848 navi, seconda solo a quella Imperiale Inglese, le riserve auree erano attive e non vi era deficit pubblico, la disoccupazione era zero.

Il piccolo Piemonte, armato dalla massoneria inglese, strumento e servo di Lord Palmerston, scatenò nel Sud una repressione feroce contro i contadini e contro il clero.

Dal 1860 al 1871 il Meridione divenne un inferno. Il terrore imperava, il genocidio di massa fu regola e legge. Si doveva distruggere un popolo la cui colpa era quella di essere cattolico e fedele al suo re, al papa ed alla sua terra, che da sempre considerava la sua patria.

Il Piemonte era stato delegato dalla massoneria inglese a creare una borghesia laica, liberale, vorace, senza scrupoli. Accentrò il potere, annullò l’autonomia impositiva dei comuni; annullò tutte quelle istituzioni, sia pubbliche che religiose, che per secoli avevano consentito un equilibrio unico al mondo, che consentivano ai deboli di difendersi dai soprusi dei ricchi.

Il Piemonte annullò lo stato sociale che i Borbone avevano eletto a patrimonio morale. Il Piemonte, grazie alla politica dei vari governi incamerò centinaia di milioni dalla vendita dei beni ecclesiastici e demaniali.

Nel 1860 il debito pubblico del Piemonte ammontava alla somma di oltre un miliardo di lire di allora (1.159.970.430) e doveva pagare 57.561.532 di interessi annui alle banche inglesi, una montagna di debiti, una voragine spaventosa che 4 milioni di abitanti non sarebbero mai riusciti a pagare. Tale debito fu caricato con lacrime e sangue sulle spalle delle popolazioni annesse con l’Unità d’Italia.

Secondo i dati del primo censimento dell’Italia unita (1861) risulta che su 668 milioni di lire incamerati nelle casse piemontesi, ben 443 appartenevano al Regno delle Due Sicilie.
Segue......

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