Se chiedete
a qualsiasi uomo di scienza quando la più famosa formula della fisica,
(presente nella teoria della relatività) sia stata concepita vi risponderà
senza dubbio che fu nel 1905 che Albert Einstein, considerato ai giorni nostri
il più grande scienziato di tutti i tempi, pubblicò la sua congettura secondo
la quale la massa di un qualsiasi corpo, come dire il suo contenuto di materia,
non è altro che una misura dell’energia che esso è in grado di produrre, nella
famosa proporzione:
E (energia)
= m (massa) per la velocità della luce, che viene indicata solitamente con la
lettera C, al quadrato, ovvero, più sinteticamente, come tutti sanno: E = mc2.
Al primo
membro di questa equazione troviamo l’energia totale E racchiusa in un qualsiasi corpo fisico, ed al
secondo la sua massa m, moltiplicata per il quadrato della
“costante universale” C (costante almeno secondo la teoria
della relatività einsteniana), vale a dire la velocità della luce nel “vuoto”,
pari a circa 300.000 Km al secondo.
L’equazione
di dice esprimere l’equivalenza tra massa ed energia, perché va intesa non
soltanto nel senso che una massa è capace di produrre energia, esperienza che
tutti abbiamo provato bruciando un pezzo di legno in un camino per ricavarne
calore, ma anche viceversa che l’energia è capace di trasformarsi in massa, in
materia.
Altri
scienziati si erano avvicinati prima di Einstein a tali conclusioni: Lorentz,
Poincaré, Hilbert e soprattutto Olinto De Pretto.
Pare che sia
arrivato alla stessa equazione prima di Einstein, il quale ricevette, nel 1921,
il Premio Nobel, ma De Pretto, era già morto in circostanze drammatiche e che
dunque non gli fu possibile fare valere le sue ragioni in sede scientifica
internazionale.
Nel 1903 presentò all’Istituto Veneto di Scienze,
Lettere e Arti un saggio “Ipotesi dell’Etere”, che fu pubblicato l’anno
seguente sotto la guida dell’astronomo Giovanni Sciapparelli. In tale lavoro di
ricerca, De Pretto diede una spiegazione dell’etere e della forza
gravitazionale, ma è con la formula mv2 che mise in evidenza il legame tra
massa ed energia. Sostenne che la massa, anche se a riposo, conteneva
un’immensa energia. Non solo, intuì i pericoli di un possibile sfruttamento dell’energia nucleare e li manifestò nei suoi appunti. In quel periodo, Einstein si trovava in Italia e conosceva bene la lingua italiana e quasi certamente era informato sulle tesi del collega o quantomeno ne fu illuminato ed ispirato anche dalle conclusioni alle quali era giunto lo svizzero Michele Besso nel 1905, concepì la teoria della relatività senza peraltro riconoscere alcun merito al De Pretto.
La suddetta
ipotesi è frutto di una tesi formulata dal professore Umberto Bartocci, docente di Storia della
matematica all’Università di Perugia, a questa tesi ha dedicato nel 1999 un
libro: “ Albert Einstein e Olindo De Pretto – La vera storia della formula più
famosa del mondo”. Il professore, pur riconoscendo che non fu De Pretto lo
scopritore della relatività afferma però che “non ci sono dubbi sul fatto che
sia stato il primo ad usare l’equazione” e si dice convinto - anche se è
impossibile “provarlo” – che Einstein usò le ricerche dell’italiano.
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