sabato 7 marzo 2015

URANIO IMPOVERITO

Da anni, anche recentemente, in molti si parla di Uranio Impoverito affrontando le tematiche più diverse, spesso estremizzando i concetti e proponendo realtà non congrue con l’effettiva natura e pericolosità del materiale. La Comunità internazionale da tempo si interessa del problema approcciandolo su grande scala.

Il Dott. Stefano Montanari, dal 2004 alla direzione scientifica del laboratorio Nanodiagnostics di Modena, esperto e preparato ricercatore apprezzato in campo internazionale e nazionale, ci propone il suo pensiero “scientifico” sull’argomento, affrontandolo con l’ottica di uno scienziato profondo conoscitore delle nanopatologie, soprattutto per quanto attiene alle fonti inquinanti da polveri ultrafini e si occupa da un decennio insieme alla moglie, la Dott.ssa Antonietta Gatti, di ricerche nel campo napatologico ed ambientale.

Ospito in questo blog il suo articolo con estremo piacere (il Dott. Montanari gestisce comunque un proprio blog che merita di essere visitato www.stefanomontanari.net) con la speranza di poter amplificare il più possibile l’informazione su una tematica della massima importanza e per offrire spunti di meditazione che aiutino a fugare qualsiasi dubbio che ancora sussiste sulla pericolosità del materiale.

Un’iniziativa intesa anche per tenere alta l’attenzione su una realtà troppe volte oscurata da interessi non meglio definiti ed in qualche modo concorrere ad aiutare anche coloro – militari e civili – vittime degli effetti del DU ma che ancora devono lottare perché il danno subito sia riconosciuto dallo Stato.
Un pensiero quello espresso in maniera semplice e chiara dal Dott. Montanari, che si va ad aggiungere alle iniziative in corso portate avanti dalla Campagna Internazionale per la messa a bando delle armi all’Uranio Impoverito. 

Fernando Termentini, 16 Feb. 2015


URANIO IMPOVERITO: VEDIAMO DI FARE UN PO’ DI CHIAREZZA

Dott. Stefano Montanari – Laboratorio Nanodiagnostics – Modena


Sull’uranio impoverito io sono impegnato insieme a mia moglie, la dott.ssa Antonietta Gatti, da oltre dieci anni. Tutto sommato, per chi non debba lavorarci in maniera specialistica, l’argomento non presenta particolari difficoltà di comprensione. Eppure pare si faccia di tutto per rendere nebuloso un tema che nebuloso non è affatto.

Dopo averne detto e scritto innumerevoli volte, evidentemente senza risultato apprezzabile, vedrò di essere quanto più semplice possibile, sperando di fare breccia anche nei cervelli più impervi.

Nel corso delle guerre nei Balcani e in quelle intorno ai pozzi di petrolio del Medio Oriente non era affatto insolito assistere al ritorno di militari che presentavano una collezione di sintomi che, allo stato della Medicina di allora, in associazione reciproca risultavano ben poco comprensibili quando non del tutto misteriosi.

Spesso nello stesso soggetto si presentavano insieme irritabilità fino all’aggressività, insonnia, perdita di memoria a breve termine, dolori nella minzione e nell’eiaculazione, sudorazione profusa soprattutto di notte, spossatezza e, dulcis in fundo, cancri.

Cancri al plurale perché di quelli compariva una varietà ragguardevole, anche se i casi a carico del sistema linfatico e del sangue erano i più frequenti. Ora vediamo anche cancri tripli, cioè tre tipi diversi di tumori presenti contemporaneamente nello stesso soggetto.

Il tutto iniziava e inizia quasi di regola con un po’ di febbre e, magari, un po’ di diarrea che vengono catalogate come segni di un’influenza e non vengono presi in considerazione nemmeno dal paziente.

Nessuna meraviglia essendo la cosa “normale”: all’inizio, del fatto non si diede notizia pubblica. Poi le cose cominciarono a trapelare e, come da copione, le si negò. Questo fino a che negarle non fu più possibile e, allora, ecco scatenarsi le ipotesi.

Lasciando da un canto le più bizzarre, furono tirate in ballo le tende in cui i militari dormivano, per varie ragioni tende irrorate da farmaci. Poi furono i medicinali che ai militari venivano somministrati, a volte senza alcuna indicazione, a volte totalmente al di fuori di quanto sta scritto nella più elementare prudenza (es. la piridostigmina).

Poi, in maniera più specifica, furono i vaccini da cui i soldati sono bersagliati in modo tutt’altro che scientifico e senza le più ovvie precauzioni. Di tutto questo pandemonio di accuse quasi sempre sostenute da perfetti incompetenti tra cui giornalisti e membri laici di comitati, tutti, comunque, senza esperienza in proposito, qualcosa resta ancora in piedi, e questo anche al cospetto di un’evidenza che dovrebbe essere decisiva: delle stesse sindromi (una sindrome è un insieme di sintomi) soffrono pure tanti civili che non hanno mai dormito nelle tende, non hanno mai preso i farmaci dei militari e meno che mai si sono vaccinati.

Ecco, allora, comparire sul banco degl’imputati un accusato molto più credibile: l’uranio impoverito.

Mi si permetta ora una disgressione, peraltro doverosa, visto che tanti, soprattutto tanti giornalisti, ne dissertano ma pochi sanno di che cosa stanno parlando: che cos’è l’uranio impoverito che d’ora in avanti sigleremo come si fa abitualmente DU (Depleted Uranium)?

L’uranio è un elemento metallico niente affatto raro nella crosta terrestre dove è presente per circa 1,3 parti per milione ed è molto più comune di altri metalli come, ad esempio, l’argento (0,055 parti per milione). In natura esistono tre isotopi di uranio (lo stesso elemento chimico può esistere con masse diverse perché nel suo nucleo ci sono più o meno neutroni; le proprietà chimiche sono le stese, mentre variano quelle fisiche). Nell’uranio naturale gl’isotopi sono il 238, il 235 e il 234, con il primo presente per il 99,3%, il secondo per lo 0,7 e il terzo è estremamente raro.

E’ il 235 ad avere interesse perché trova applicazione per scopi nucleari, dalle bombe alle centrali di energia. Se si vuole ottenerlo per questi usi si mette in atto un’operazione piuttosto complessa con cui si arricchisce il 238 con il 235 prelevato da grandi quantità di altro uranio naturale.
Quello che si ottiene è da una parte uranio arricchito del prezioso 235 e dall’altra ciò che resta, cioè tanto 238 quasi privo di 235, e questo è il famoso DU: di fatto un rifiuto.

A questo punto sorge il problema di cosa fare di questo DU che risulta imbarazzante un po’ per il suo altissimo peso specifico (oltre 19 volte quello dell’acqua) e molto perché è radioattivo.

Al di là dei nascondigli più o meno efficaci in cui si cerca di sottrarlo alla percezione comune, qualche impiego gli si è trovato nei contrappesi per ascensori, nelle chiglie delle barche da competizione, nei bilanciamenti degli aerei, nelle punte delle sonde petrolifere e negli schermi che si usano come ripari per i raggi x.

Ma di quella roba da sistemare da qualche parte ne resta ancora tanta perché, per produrre uranio arricchito, in particolare quello per uso bellico dove è necessario moltissimo 235, occorrono quantità enormi di uranio naturale.
Il colpo di genio degli Anni Settanta fu di accorgersi che il rifiuto DU può essere usato nei proiettili grazie al suo essere un ottimo penetratore e alla sua piroforicità, vale a dire alla sua proprietà di sviluppare una temperatura di un po’ più di 3.000 °C  quando, in ambiente di aria, subisce uno shock.

Così gli scienziati militari statunitensi cominciarono a studiare proiettili all’uranio impoverito, strumenti bellici quanto mai efficaci che avevano il vantaggio collaterale di liberarsi di un po’ di uranio ormai inutilizzabile trasformandolo in particelle visibili solo al microscopio elettronico. Di fatto la Legge di Conservazione della Massa ci assicura che, qualunque cosa si faccia, non va perduto un solo atomo, ma occhio non vede…

A fine Anni Settanta il centro militare USA di Eglin approntò un documento che restò per lungo tempo segreto, per poi comparire quatto quatto, senza la minima pubblicità, parecchio più tardi. In quelle poche pagine s’illustrano gli esperimenti compiuti e si sottolinea come pochi chilogrammi di DU, un piccolo volume a causa dell’altissimo peso specifico di quel metallo, potessero di fatto vaporizzare il bersaglio producendo poi particelle sferiche di piccolissime dimensioni.

Allora di nano patologie, cioè di malattie da micro- e nano particelle, non si parlava ancora, ma già chi compilò il rapporto sollevò il problema sanitario: quelle polveri così sottili potevano essere inalate provocando danni alla salute. Esattamente quali non era ancora nell’esperienza medica, ma che i danni ci fossero era già ovvio quasi quarant’anni fa.

Il 1° Marzo 1991, a distanza di oltre una dozzina d’anni dal documento di Eglin, il Laboratorio Nazionale di Los Alamos nel New Mexico scrisse un breve memorandum in cui diceva che, salvo obiezioni dovute all’efficacia del DU, queste armi potrebbero diventare “politicamente inaccettabili ed essere cancellate dall’arsenale”. Il problema era l’impatto pesantissimo dell’armamento sull’ambiente, cosa di cui gli americani, ancora ignari degli effetti reali sugli organismi viventi, erano comunque già ben consci.

LA IL DU era troppo bello per essere accantonato e il suo s’intensificò, con le zone di cui ho detto sopra, Balcani e Medio Oriente, diventati teatri consueti del suo uso, ma è del tutto plausibile che il DU sia stato usato anche in qualcuna delle tante guerre, magari poco note, che si combattono sul Pianeta.

Non so se sia il caso di sorprendersi se gli americani che tra ex Jugoslavia e Iraq combattevano presero delle vistose anche se un po’ rozze precauzioni mentre altri eserciti, non saprei dire se per mancata informazione o per superficialità, di precauzioni non presero altra se non quella di negare che il DU fosse utilizzato.

Nel tempo, poi, i documenti americani che provano come le conseguenze dell’uso di quei proiettili fossero sempre più note si sono accumulati.

Molto in breve, vediamo che cosa accade quando si spara uno di quei proiettili.

Come ho detto, a causa della sua piriforicità bersaglio e proiettile vengono di fatto aerosolizzati e trasformati, così, nei loro costituendi di piccolissime molecole o, più spesso, di atomi. Queste sostanze vengono scagliate relativamente lontano dal punto d’impatto e trovano in breve un ambiente di gran lunga più freddo dei 3.036/3.063 °C in cui si sono formate.

In questo ambiente più freddo atomi e piccole molecole si condensano velocemente in modo del tutto casuale, tanto da avere composizioni chimiche elementari anche molto complesse, formando delle sfere cave con la superficie cristallina ed estremamente fragile, tanto da rompersi al minimo urto in frammenti come è naturale ancora più piccoli.

Queste particelle sono talmente minuscole e leggere da comportarsi sotto diversi aspetti come gas e, come tali, galleggiano nell’aria potendo compiere viaggi anche di migliaia di chilometri. Giusto come noterella di attualità, è di questi giorni la scoperta nei ghiacci delle Ande dei residui grossolani (rispetto alle polveri di cui ci stiamo occupando) di piombo e arsenico provenienti da una miniera d’argento sfruttata dagli spagnoli dal 1572 al Settecento.

Quei residui uccisero migliaia di persone e sono stati trovati intatti a 5.600 metri d’altitudine, a 800 km dalla miniera. Le nostre polveri pesano anche molte migliaia di volte meno di quelle andine e, dunque, non è difficile immaginare che distanze possano coprire.

Deve essere chiaro che quelle polveri sono molto spesso “eterne”, con ciò intendo che moltissime di loro non sono degradabili, Dunque, una volta prodotte è per sempre e terra, aria e acqua non se ne libereranno mai.

Non ci si illuda che siano possibili bonifiche, e questo non solo per motivi economici. Le quantità, la diffusione, la mobilità, la dimensione con la capacità d’insinuarsi dovunque renderebbero qualunque tentativo appena efficace su una frazione talmente esigua dei materiali in gioco da renderlo velleitario.

Quei piccolissimi frammenti di materia ora così diversi chimicamente da ciò da cui avevano avuto origine vengono inalati e respirati raggiungendo zone molto profonde dell’apparato respiratorio, fino ad entrare almeno in parte negli alveoli polmonari.

Da lì, nel volgere di poche decine di secondi, passano nel sangue dove, nei soggetti che non producono nel loro organismo alcune sostanze capaci di contrastare la formazione di trombi (attivatori del plasminogeno) provocano un’ipercoagulazione del sangue con conseguenti trombo embolie polmonari nel comparto venoso, oppure, in arteria, ictus e infarto.

Negli altri soggetti quelle polveri proseguono il loro viaggio fino ad entrare in qualunque organo, compreso il cervello che non pare essere dotato di alcuna protezione particolare, con la barriera emato-cerebrale, in altre circostanze protettiva, priva di efficacia.

Entrate nell’organo o nel tessuto, le particelle vengono catturate come accadrebbe in qualunque filtro meccanico, e non esistono processi fisiologici o farmacologici per liberarsene, Così quei granelli solidi e inorganici restano in loco, venendo percepiti per quello che sono: corpi estranei.

La reazione a questa intrusione ineliminabile è la formazione di un tessuto infiammatorio che circonda e isola le particelle. Una condizione simile è all’origine di forme di cancro, come riporta un’enorme letteratura medica.

Ma le polveri fanno anche altro.                

Se entrano nel cervello, vanno a provocare danni nervosi come quelli citati tra i sintomi riferiti alle sindromi contratte nei Balcani e in Medio Oriente.

Se vanno nel pancreas possono indurre un diabete di tipo 1 bloccando la formazione d’insulina.

Se passano nello sperma danno sterilità e inducono la formazione di piaghe sanguinanti e dolorose nel canale vaginale della partner sessuale.

Se ad essere colpita dalle polveri è una donna gravida, si può avere un aborto o il parto di un bambino malformato o di un già malati di cancro.

Ad aggravare la situazione c’è la radioattività del DU. Non si tratta di una radioattività particolarmente marcata, ma è ovvio che, laddove di DU se n’è usato parecchio, la radioattività c’è eccome e questa condizione è una concausa responsabile dell’innesco delle patologie, patologie che, non saprei dire se è anche per questo, nei militari che abbiamo avuto occasione di analizzare (e sono circa 200), osservandone al microscopio elettronico i tessuti patologici e trovandoci le particelle incriminate, si manifestano con una rapidità ragguardevole.

I civili controllabili sono relativamente pochi: principalmente giornalisti e operatori di organizzazioni non governative. La soverchiante maggioranza dei civili ammalati appartiene a zone in cui l’assistenza sanitaria non è certo di prim’ordine né queste persone hanno accesso al nostro laboratorio, purtroppo l’unico in cui si eseguono le indagini nano patologiche del caso. Ci arrivano, invece, i casi di militari e in qualche occasione questi sono venuti anche dall’estero.

Per ognuno di loro, oltre a dover affrontare la situazione oggettivamente terribile di una malattia gravissima e del lavoro perso, ci sono le condizioni umilianti di dover affrontare gravi difficoltà economiche e un processo contro lo stato datore di lavoro per cercare di far valere i propri diritti di lavoratore. Non dimentichiamo che, ufficialmente, i militari non sono mai andati a fare la guerra, ma sono andati in missione di pace. Dunque lavoratori.

Non è un mistero per nessuno che, dal punto di vista della propria economia, l’Italia corre su un filo sospeso altissimo da terra e non sorprenderà nessuno se lo stato cerca di sottrarsi ai propri obblighi legali e, ancor prima, morali, lasciando i militari ammalati abbandonati e senza un soldo.

Per fare questo ogni appiglio pare possibile. Già qualche anno fa la Difesa organizzò una riunione di “scienziati” (inevitabili le virgolette) presso la sede del CNR di Roma e costoro, nessuno dei quali aveva la benché minima esperienza in proposito al di là di qualcuno che aveva eseguito esperimenti del tutto privi di qualunque significato (e sono generoso), conclusero che, in fondo, le particelle come quelle di cui ci stiamo occupando sono innocue.

Al di là della scienza a livello mondiale, è l’Organizzazione Mondiale della Sanità a smentire quei personaggi le cui esternazioni, per quanto grottescamente infondate e basate su un ancora più grottesco “lei non sa chi sono io”, sono sicuramente servite in qualche circostanza per sottrarsi al risarcimento dovuto a qualcuno. Per fortuna esistono giudici che fanno giustizia e per diversi soldati sono già cominciate ad uscire sentenze a favore.

Naturalmente non è questo ciò di cui mi devo occupare io, per mestiere relegato nella freddezza di un laboratorio scientifico, ma di tanto in tanto quei ragazzi li incontro non solo nelle loro biopsie, ma per davvero in carne ed ossa. Non sono tanto le loro sofferenze a lasciarmi senza parole: sono la loro delusione e la loro dignità.


Dott. Stefano Montanari – 16 Febbraio 2015, ore 9,00

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