Esiste un luogo dove ciò che rischia di accadere al
pianeta Terra entro la fine del secolo può essere visto in anticipo, e questo
posto è in Italia.
Più precisamente al largo di Ischia, presso i fondali che
circondano la fortezza del Castello Aragonese.
Qui i camini vulcanici sotterranei pompano
costantemente anidride carbonica nell’acqua, alterandone la composizione
chimica fino ad abbassare il PH delle acque a 7,8: ovvero lo stesso livello che
secondo gli scienziati tutti i mari raggiungeranno verso il 2100 (oggi è di
8,1) se non si farà qualcosa per combattere inquinamento e surriscaldamento
globale.
Ebbene, in questo spicchio di mare il fondale
assomiglia ad un paesaggio lunare, senza alghe né molluschi ed i ricercatori
della Stazione Geologica di Ischia che ne studiano l’habitat, hanno rilevato
che i pesci che lo abitano perdono l’orientamento e non percepiscono gli odori,
mentre i gamberi producono delle mutazioni genetiche per adattarsi
all’ambiente.
Dovesse verificarsi lo stesso fenomeno in tutti i mari
del mondo sarebbe una catastrofe: il 70% delle specie marine sarebbero a
rischio estinzione e le barriere coralline scomparirebbero.
Mentre sulle terre emerse ci troveremmo di fronte alla
desertificazione delle aree più calde ed alla scomparsa sott’acqua di buona
parte delle zone costiere a causa dell’innalzamento del livello dei mari
prodotto dallo scongelamento dei ghiacciai.
In pratica l’intero ecosistema del pianeta sarebbe a
rischio.
Il motivo di questo potenziale cataclisma è semplice:
una parte dei sette miliardi di abitanti del pianeta Terra, posti in gran parte
in Europa e Nord America, sta conducendo uno stile di vita incompatibile con la
sopravvivenza del pianeta: sta consumando più risorse del dovuto ed emettendo
nell’ambiente una quantità di CO2
superiore a quella che l’ecosistema è in grado di riassorbire.
Basti pensare che secondo uno studio della New
Economics Foundation di Londra le risorse che il pianeta ci metteva a
disposizione per tutto il 2014 sono state in realtà esaurite lo scorso 22
Agosto: da quel giorno e fino alla fine dell’anno consumeremo beni naturali che
l’ecosistema terrestre non è in grado di rigenerare.
Continuando di questo passo nel 2050 avremmo bisogno di
un altro pianeta grande quanto la Terra per rendere sostenibile un tal consumo
di risorse, mentre già oggi avremmo bisogno di un pianeta e mezzo. E non va
peggio di così solo perché buona parte dei cittadini del mondo non possono
nemmeno sognare di godere degli stessi standard di vita dell’occidente.
La mappa numero 1 che pubblichiamo ad integrazione
dell’articolo ci da l’idea dell’impronta ecologica che hanno sul pianeta alcune
regioni del mondo: se tutti gli abitanti della Terra potessero avere il
medesimo stile di vita e di consumo dei cittadini statunitensi ci servirebbero
già oggi 4,1 pianeti a disposizione, mentre se tutti vivessero come un francese
ne servirebbero 2,5.
Se invece vivessimo tutti come i cittadini del
Bangladesh potremmo accontentarci di un pianeta grande appena un quarto del
nostro. Si tratta di una mappa che ha il dovere di farci riflettere, quindi,
non solo sul baratro ecologico verso il quale siamo lanciati, ma anche sulle
enormi iniquità che contraddistinguono il nostro modello di “sviluppo”.
Non solo stiamo consumando troppe risorse, ma
nonostante questo una larga fetta della popolazione vive in condizioni di
povertà e malnutrizione.
La mappa numero 2 rende ancora più chiaro il concetto:
si tratta di una cartina ponderata in base al patrimonio economico di ogni
paese, dove ogni regione del mondo è grande quanto la porzione di ricchezza
globale che detiene ed accumula al suo interno.
Come si può vedere, in questa grafica il Nord America e
l’Europa Occidentale diventano delle entità di grandezza abnorme rispetto al
loro reale peso geografico, ed insieme possiedono quasi la metà del patrimonio
mondiale.
Di contro l’Africa sembra un palloncino sgonfio e
raggrinzito, penosa trasposizione grafica di una realtà che costringe buona
parte degli abitanti di questo continente a vivere in condizioni al limite
della sopravvivenza.
Ogni secondo sulla Terra si verificano 4,17 nascite e
1,80 morti. Se la popolazione umana dovesse continuare a seguire la linea di
sviluppo demografico degli ultimi decenni, entro il 2050 potremmo arrivare a
superare la soglia dei 9 miliardi di persone, che potrebbero diventare oltre 11
miliardi nel 2100 (vedi mappa n. 3).
Se teniamo presente che ancora all’inizio del XIX
secolo d.c. il pianeta era abitato da appena un miliardo di persone, viene
quasi automatico pensare che una delle maggiori cause dell’insostenibilità
della nostra presenza sulla Terra risieda nel fatto che stiamo semplicemente
diventando troppi.
Ma è davvero così? Secondo la FAO (Organizzazione
dell’ONU che si occupa di cibo e agricoltura) in realtà il nostro pianeta
potrebbe riuscire a produrre cibo a sufficienza anche per 20 miliardi di
persone, forse anche di più grazie al progresso delle tecniche agricole.
E, dopotutto, come mostra la mappa numero 4, quasi la
metà della popolazione globale vive una ristretta porzione del mondo, compresa
tra Cina, India ed altri paesi dell’Asia.
Questo ovviamente non significa che tutte le zone
disabitate del mondo siano adatte ad avere una grande concentrazione umana, ma
sicuramente non si può dire che non vi sia spazio sufficiente anche per un
ulteriore incremento della popolazione.
Il problema quindi non è tanto che siamo troppi, ma
semplicemente che il nostro sistema di produzione non funziona.
Enormi aree di terreni utili per l’agricoltura vengono
utilizzate per produrre mangimi per l’alimentazione di bestie da macello,
mentre con una dieta maggiormente vegetariana sarebbe molto più semplice
nutrire il pianeta.
Mentre la produzione di materie prime e di risorse
energetiche è ancora essenzialmente affidata all’estrazione di idrocarburi e
combustibili fossili enormemente inquinanti, nonostante la tecnologia sarebbe
già ampiamente in grado di sostituire gradualmente il loro uso con altre fonti
maggiormente sostenibili.
Insomma, per concludere, si potrebbe dire che viviamo
in un’epoca nella quale siamo perfettamente a conoscenza del fatto che la
specie umana si stia auto-condannando alla catastrofe (logicamente trascinando
con sé milioni di altre specie viventi prive di colpe) e siamo perfettamente a
conoscenza anche di quali siano le cause di questo potenziale disastro e dei
possibili rimedi attraverso i quali potremmo provare a riprendere in mano la
situazione.
Tuttavia niente pare riuscire a convincere i governi ed
i cittadini del mondo dell’urgenza di agire.
Un recente rapporto ONU si concludeva con le seguenti
parole: “ Il nostro modello di produzione è come un’auto che vede il burrone
che si avvicina ma continua ad accelerare”.
O troviamo il coraggio di spingere i freni o siamo messi
male.
1 commento:
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